LE STREGHE DI VENEZIA NON HANNO STREGATO
(Salvatore Aiello)
(foto R. Garbo)
La prima parte della Stagione di Opera e Balletti del Teatro Massimo si è conclusa con Le streghe di Venezia di Philip Glass. Un autore che in genere è stato ai bordi della musica contemporanea per l’impurità delle sue contaminazioni, spesso risultate irriverenti, e per la voglia di sperimentare con l’adesione a varie mode e fermenti culturali che non hanno lasciato un grande segno. La sua vicenda musicale che l’ha visto dapprima capofila del minimalismo musicale per poi passare anche ad esiti di post minimalismo, ha offerto una produzione in genere di musiche ipnotiche, alla ricerca di continui e costruiti effetti che dimostrano talvolta vuoti di contenuti e carenza di personali profonde ispirazioni. La sua opera approdava al Teatro Massimo forse per compiacere Giorgio Barberio Corsetti che ne ha curato la regia sull’onda del recente successo riscosso con la rossiniana Cenerentola. In quella operazione il regista ci è apparso a suo agio e come abbiamo già scritto, siamo stati condotti piacevolmente dagli effetti speciali che la grande musica e il libretto fornivano alla sua alacre immaginazione; in questa, proprio per la povertà e la banalità, per non dire qualcosa di più pesante del testo di Montresor e Cerami, l’esito è stato assai modesto ed imbarazzante. Lo spettacolo si proponeva in maniera enfatica di raggiungere bambini ed adulti, teso a guadagnarsi consenso di un pubblico trasversale ma in verità la favola si è rivelata poco credibile, senza alcun spessore per gli adulti e pedagogicamente scorretta per i bambini la cui fantasia fertile ed ingenua non dovrebbe inabissarsi nell’orrore di ciò che accade nella casa delle streghe, abitata da orchi incinti simili a drag queen, zombi, mancati stupri ed altro. La musica del tassista Glass, abituata a commentare i poster appesi al muro delle gallerie degli artisti, ci lasciava intendere che costituiva soltanto un sottofondo per sostenere uno spettacolo che nonostante tanti artifici tecnici non è del tutto piaciuto. Qualche merito va alla direzione di Francesco Lanzillotta che con l’ensemble strumentale del Massimo ha debitamente evidenziato i momenti più salienti della narrazione, concedendosi a sottolineare ora le situazioni caratterizzanti e all’occasione trovando tinte nervose, dominate sempre con assoluta padronanza. Un altro doveroso merito va agli interpreti chiamati più a parlare, recitare e in qualche raro momento a cantare: Gabriella Costa si è imposta nei ruoli della Fata e della Strega, Valeria Tornatore della Domestica e della Strega; Gianluca Bocchino era il Re di Venezia, mentre l’Orco en travesti era Salvatore Rigoli. Puntuali, disinvolti e bravi Carlotta Maestrini (la Narratrice) e Riccardo Romeo (Il Bambino Pianta).A posto il coro di voci bianche istruito da Salvatore Punturo e i Sei Ottavi. Tiepido dissenso del pubblico in un teatro semivuoto.