UNA TECNOLOGICA, FANTASIOSA CENERENTOLA AL MASSIMO

(Salvatore Aiello)

(foto R.Garbo)

In grande spolvero il ritorno della semiseria rossiniana   La Cenerentola al Teatro Massimo. In verità eravamo preoccupati per il battage pubblicitario che aleggiava attorno all’evento facendoci temere l’ennesima profanazione di stravaganti registi che, decisamente affermiamo, non amano l’Opera e quasi prendendone le distanze, la declinano con interpretazioni e visioni che  assolutamente tradiscono i testi e i loro geniali Autori.

Ma lo scorrere felice delle prime note della Sinfonia che il briccone Rossini vi trascinò da La Gazzetta, ci introduceva questa volta a qualcosa di diverso che accendeva la nostra curiositas e che via via ci prendeva. Il dinamismo della musica, spiritosa ed ironica nello stesso tempo, ci immetteva immediatamente in un’anonima,assorta metropoli, viva dei suoi manifesti pubblicitari con cui negli anni ’60 si incentivava quel boom economico che alimentava sogni e riprese che avrebbero dovuto colorare la vita sociale. In tutto quel fermento si impiantava l’avventura di Angelina ossia la “Bontà in trionfo”, storia di una creatura anonima e spicciola che grazie alla sua caratura di umana, istintiva  generosità disegnava per sé il salto di qualità che l’avrebbe vista vincitrice di tanto squallore, bassi istinti ed arroganti presunzioni.Attorno a lei si agitava un mondo di personaggi in qualche modo spregevoli   quali  Don Magnifico di sconcertante attualità e le stupide, ridicole, altezzose, invidiose sorelle in combutta tra di loro.Il nuovo allestimento in collaborazione col Teatro delle Muse di Ancona si giovava delle scene di Giorgio Barberio Corsetti, di Massimo Troncanetti e degli aderenti costumi di Francesco Esposito. Corsetti s’ imponeva anche per una fantasiosa, originale regia che ispirata dal ritmo incalzante  della sfavillante musica del genio di Pesaro, trasformava la fiaba del Ferretti in un’avventura onirica dove i desideri, le passioni, le emozioni, le pulsioni, le ambizioni trovavano  rappresentazione consone che si avvalevano altresì della proiezione su  schermo affidate a Igor Renzetti, Lorenzo Bruno e Alessandra Solimene. Nel regista c’era la voglia del tutto innovativa di rendere quasi concrete e palpabili le immagini dentro lo spettacolo. Con percorsi diversi sceglieva da un lato di fare agire i personaggi dentro le consuete scenografie mentre, sul piano superiore, le ridisegnava e le colorava con immagini video mappate ricorrendo alla tecnica del chroma key cosicchè lo spettatore ha potuto vedere scorrere, in maniera parallela, sul palcoscenico la vicenda nella sua dimensione reale mentre, al livello superiore, si consumava, si agitava, si disperdeva il mondo accarezzato. Tranne qualche posizione che certamente non ha giovato al canto e qualche momento in cui gli interpreti hanno perduto la loro individualità trasformandosi in marionette al servizio del gioco scenico, bisogna dare merito pieno e sostenere che l’operazione è stata di tutto rispetto nonostante la spinta di contemporaneità che l’animava giovando all’alleggerimento del libretto che vive di momenti prolissi.Gabriele Ferro veterano della Cenerentola ha guidato l’orchestra e il coro con  grande aplomb, con equilibrata tensione e contenuti crescendo, scegliendo tempi agevoli; anche sul piano filologico ha funzionato grazie alla buca sollevata circa all’altezza della ribalta e con un organico orchestrale quasi cameristico, senza mai abbandonarsi a sonorità robuste che avrebbero in qualche modo compromesso le vocalità dei cantanti che risultavano nella preparazione assai curati da un direttore come lui che di Rossini ha dato sempre prove alte, coerenti e del tutto convincenti.Protagonista Chiara Amarù che si è fatta apprezzare per un timbro amabile, un’emissione di ricercata souplesse, senza cedimenti o abusi di note altre, accorta nel disegnare con stile il personaggio per metterne a fuoco la cifra tenera ed affettuosa. Non è un contralto rossiniano ma seguendo una linea interpretativa che dalla Berganza arriva a noi, con la vocalità fluida e le agilità dipanate con accattivanti roulades ha captato la dovuta ammirazione. Se la giovane cantatrice si è rivelata interessante, abbiamo apprezzato pure la sua vis scenica ; l’abbiamo vista sfilare con divertente disinvoltura nel red carpet e  su di una spyder rossa al posto della fiabesca carrozza.Con lei, con esiti diversi, agivano Renè Barbera nei panni di Don Ramiro, un tenore contraltino di bel timbro, squillo e soprattutto estensione con qualche limite di stridulità nel sovracuto. Paolo Bordogna disegnava un Don Magnifico a tutto campo, trascinante, un vero odierno esempio di arrampicatore sociale senza tenere in nessun conto esigenze e sentimenti veri e profondi; la voce non è grande ma quello che più contava era la capacità di intrattenere, di cooptare  furbescamente adeguandosi a situazioni nuove per trarne comunque i suoi profitti.Riccardo Novaro dava un certo risalto a Dandini cui aderiva con professionalità e presenza, Gianluca Malderi era un apprezzabile Alidoro per accenti e colori, Marina Bucciarelli e Annunziata Vestri con petulanza ed efficace presenza davano vita alle acidule sorelle Tisbe e Clorinda. Bene il Coro istruito da Piero  Monti.In tanto esilarante fragore, in tanti squarci felici e avventuristici però si accampava la nota più autentica dell’habitus sentimentale del compositore e cioè la malinconia. Infatti  Corsetti disegnava un finale diverso ma interessante, in consonanza con la lettura psicoanalitica dell’opera. Ci piace a tal punto ricorrere ad una citazione di Calderón de la Barca “La vita è sogno” ma guai a svegliarsi poiché poi ci attende il mal di vivere che è la quotidianità, lì rappresentata da una lavatrice  dove Cenerentola nel riporvi i panni, dopo tanta fervida immaginazione, ritrovava la sua autenticità e il suo destino che la relegava al suo anonimato.Consenso totale di un pubblico numeroso e piacevolmente soddisfatto.

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