UNA FIABA PER IL MASSIMO
(SALVATORE AIELLO)
Desirée Rancatore ( f. Lannino)
Grande ritorno al Massimo de La Fille du regimènt, solo per due recite, una felice anticipazione della tournèe che il Teatro a maggio porterà alla Royal Opera House di Muscat capitale del sultanato dell’Oman. Clima da fiaba con un allestimento storico, inossidabile, quello di Franco Zeffirelli che ci ha visto negli anni sempre ammirati spettatori per il clima particolare che sa perfettamente coniugare, alla luce della musica donizettiana, birichinate e nostalgie, esilaranti momenti di indisciplinata esistenza fuori le regole con atmosfere velate di intrisa melanconia che le sapienti luci di Bruno Ciulli mettevano in evidenza. In un Teatro pieno in ogni ordine, soprattutto di giovanissimi concentrati e silenziosi, docilmente guidati dalla regia sapiente di Filippo Crivelli, si sgranava la vicenda di Marie, bambina adottata dal reggimento poi riconsegnata alla madre costretta, a suo tempo, dai condizionamenti sociali a rinnegarla; nonostante di lei si volesse fare una personcina aristocratica, sarà conquistata dall’amore del suo Tonio. Protagonista Desirèe Rancatore che tornava ad un anno di distanza a rivestire i panni della giovane vivandiera; ci è sembrato di comprendere che questo ruolo si addice del tutto alla sua statura di interprete e di vocalista, un po’ “Gian Burrasca” ma poi commediante e infine innamorata credibile. La cantatrice ha messo a fuoco e sciorinato tutte le energie di una voce dal timbro accattivante, dai vocalizzi tersi, dalle agilità dipanate con perizia e sovracuti sfavillanti con cascate di note sciolte e disinvolte. L’apice è stata raggiunto al crepuscolare Il faut partir da manuale, per tenerezza, colori e soprattutto schegge d’anima; non finiremmo mai di lodarla perchè in nessun momento ha perso di vista le tinte del personaggio. Decorosamente attorno a lei agiva un cast di tutto rispetto, dei tempi migliori, delle belle serate all’Opera quando le ragioni del palcoscenico si conciliavano e riconciliavano con l’animus dei Compositori. Tonio era il bravo Shalva Mukeria dal timbro non certamente memorabile ma prestante e sicuro nella vocalità che lo trovava completamente a suo agio nell’esplosione degli smaglianti do dell’ Ah mes amis con cui adeguatamente e sempre presente si spendeva per delineare il personaggio affaticato dalla conquista dell’amore, dimidiato tra il reggimento e la Marquise de Berkenfield cui prestava voce Anna Maria Chiuri con autorevolezza e dominio.
Daniela Mazzuccato ( f. Lannino)
Sulplice era il palermitano Vincenzo Taormina che si è imposto per scioltezza,verve, volume ed adeguato phisyque du role. Totale ammirazione per la inossidabile Daniela Mazzuccato. Che momento alto di teatro il suo cammeo nel ruolo della Duchessa de Krakenthorp risolto con simpatia ed eleganza! Quanti ricordi ci legano a questa grande artista protagonista di spettacoli indimenticabili alla Verdura con la regia sempre del fantasioso Crivelli. Anche le parti minori, che non sono mai minori se ci sono buoni interpreti, erano affidate a Paolo Orecchia, simpatico caratterista Hortensius, a Claudio Levantino, spaccone caporale, a Francesco Polizzi, un paysan; esilarante Le maitre de ballet di Giuseppe Bonanno. Encomiabile la direzione di Keri-Lynn Wilson coinvolgente, ricca di fraseggi, di morbide linee e di continua adesione al palcoscenico a servizio della poesia del belcanto. In tale spettacolo serpeggiava la gioia di una totale osmosi tra pubblico e vis teatrale, un ritrovato miracolo dopo tanti spettacoli abusati da registi che, come sosteniamo da tempo, tradiscono il dettato degli autori ed è stato esaltante vedere come centinaia di bambini venissero travolti dall’incanto della cultura e della bellezza; questa volta non era demagogia ma operazione veramente pedagogica. Era quello che ci accadde quando Eugenia Ratti, Luigi Alva e Fiorenza Cossotto nel 1959, sempre con lo stesso allestimento, sotto la direzione del mitico Serafin, seppero accenderci la fiamma per l’Opera, una fiamma che a tutt’oggi ci colora ed alimenta la vita. E’ superfluo aggiungere che un pubblico entusiasta e felice ha calorosamente ringraziato gli artisti, senza bisogno dell’intervento della claque, perché l’applauso era un autentico tributo di un popolo e così dovrebbe essere sempre se vogliamo traghettare il Melodramma alle nuove generazioni.