A LEZIONE DI BELCANTO CON MARIELLA DEVIA
(Salvatore Aiello)
Grande attesa per l’inaugurazione della Stagione Concertistica 2016 del Massimo di Palermo con il ritorno di Mariella Devia. Di richiamo il programma che puntava sulla messinscena dei momenti più significativi e conclusivi della donizettiana “trilogia Tudor” anche se questa etichetta ci sembra storicamente impropria in quanto Anna Bolena, Elisabetta I e Maria Stuarda non appartenevano allo stesso casato, ma erano legate da vincoli familiari.
All’ universo interpretativo del soprano appartengono dal 2007 la Bolena, la Stuarda e il più recente Devereux, opere queste che una tradizione, ormai invalsa, consegna alle cantanti belcantiste ritenendo di potere, in quanto tali, affrontarle esaurientemente. La storia dei compositori e della prassi esecutiva ci insegna qualcosa d’altro e soprattutto che la vocalità adeguata per inoltrarsi nell’impervio sentiero del primo Ottocento é del soprano drammatico di agilità quale fu la prima interprete di queste opere, quella memorabile Giuseppina Ronzi De Begnis che vestì i panni di Fausta, Sancia di Castiglia, Maria Stuarda, Buondelmonte, Gemma di Vergy e Roberto Devereux, con una capacità straordinaria di conferire una cifra indelebile al carattere dei personaggi che non potevano risolversi esclusivamente sotto la luce del belcanto. Sono necessarie ben altre competenze quali: spessore interpretativo di straordinarie drammaticità ed intensità, capacità di melodico declamato, scansione della parola bruciante ed altera, duttilità per consentire alla voce di precipitare in un attimo da sopra a sotto il rigo, vis tragica, gesto autorevole, aggressione dei recitativi, toni epici, gesto perentorio, dizione aulica non disgiunta da fraseggio sognante e sognato emanazione dell’abisso della corruzione dell’anima delle eroine. Per tutto il secolo questa era la vera tradizione, poi con l’affermarsi del Verismo molte opere caddero completamente nel dimenticatoio. Il 1947 segna il timido inizio della Donizetti Renaissance con la ripresa nel Novecento della Bolena, al Grande Teatro Liceo di Barcellona, è però con l’avvento di Maria Callas che l’eredità Pasta-Ronzi si riaffermò in maniera memorabile. Alla sua scomparsa le grandi cantanti sul solco della Greca, hanno pensato che quelle opere fossero patrimonio di tutte e che tutte potessero cantarle da qui l’equivoco ma a tutt’oggi il “trono si addice solo alla Gencer” (Rodolfo Celletti). Mariella Devia si inserisce a pieno diritto sulla scia delle Sills, Gruberova , Sutherland, Scotto e Caballé, cantanti strettamente belcantiste, privilegiando i campi che oggi più le appartengono.Lungo tempo è passato dal suo esordio 1973, e noi abbiamo avuto il piacere di seguirne tappe e successi che le sono arrisi sin dagli esordi, come ebbe a sostenere Giorgio Gualerzi: “di questo soprano sentiremo parlare a lungo” e infatti come lirico-leggero si è imposta all’attenzione di tutte le platee specializzandosi in taluni spartiti rossiniani, belliniani e donizettiani. L’altra sera giungeva all’affetto del pubblico palermitano carica di una professionalità indiscussa, di una attenta capacità di organizzare la scelta di un suo repertorio consono, ma soprattutto ammirevole per lo scrupolo, la dedizione quasi sacerdotale all’approfondimento della tecnica vocale che ad onta degli anni le consente ragguardevoli traguardi e che la fa superstite delle Ricciarelli, Aliberti, Devinu, Serra solo per citarne alcune. La sua è stata una serata magistrale di un canto sempre appoggiato e sostenuto da una scienza del fiato, da un vocalizzo terso, da un legato ampio che le consentiva un’emissione morbida, una linea pura mettendola a riparo nei momenti più difficili ed estranei alla sua vocalità. Unica ad aver cantato anche l’Elisabetta al castello Kenilworth, ha rivisitato le regine scegliendo naturalmente percorsi intimistici, sofferti quasi a presentarcele martiri, sulla corda del vittimismo, aleggianti l’atmosfera romantica di quel revisionismo storico dimentico della statura malvagia e vendicatrice di quelle regali donne di potere; un intimismo che ha in certi momenti commosso ma non esaltato per le ragioni che abbiamo anticipato. La direzione di Francesco Lanzilotta si è barcamenata tra ricerca di sfumature, colori e toni piuttosto marziali nelle sinfonie poi ha sostenuto e seguito con discrezione il palcoscenico. Funzionali al concerto i costumi di Emanuel Ungaro e le presenze dello squillante Nunzio Gallì (Percy, Leicester, Cecil), di Italo Proferisce (Rochefort, Talbot), Antonio Barbagallo (Cecil, Nottingham) e Damiana Li Vecchi (Smeton, Anna, Sara). Bene il coro in gramaglie istruito da Piero Monti. Caloroso e festeggiante il pubblico che ha apprezzato vivamente l’impegno della protagonista e soprattutto stupito e ammirato per la resa di una Devia che dopo tanta onorevole carriera ancora oggi possiede l’autorevolezza di poter dire la sua, rimanendo, nel panorama operistico, una perla rara per studio e passione totale per il suo lavoro.