GIOVANNI MELI
(Gabriella Maggio)
Nel 2015 ricorre il duecentesimo anniversario della morte di Giovanni Meli, medico, professore universitario di chimica, poeta, vissuto tra Cinisi e Palermo. Dagli critici della letteratura italiana è considerato il maggiore poeta dialettale del ‘700 nell’ambito del gusto dell’Accademia dell’Arcadia. Infatti le sue più belle poesie sono le raffinate canzonette galanti da salotto, d’ispirazione erotica con aggraziati riferimenti mitologici e pastorali. L’idillio arcadico si anima di sentimento sincero per la natura e la vita campagnola vista nella sua apparente semplicità felice. È evidente l’influenza delle idee di Rousseau legate all’ innocenza della natura primordiale contrapposta alla corruzione e al fastidio della vita cittadina. Giovanni Meli conosce e apprezza le idee illuministiche ed è animato dal desiderio di riforme politiche, sociali ed economiche nel senso di escogitare mezzi più plausibili per ordinare e sistemare la società degli uomini ( in Lettere, Palermo, 1939). Il poema eroicomico Don Chisciotti e Sanciu Panza, tenta di esprimere sotto un’allegoria umoristica il contrasto tra sogni filantropici e le ragioni di un prudente realismo che ne dimostra l’utopia. Nel VII capitolo de Il Consiglio d’Egitto Leonardo Sciascia mette in scena Giovanni Meli mentre alla Marina, nella Conversazione dei Nobili, parla con don Saverio Zarbo sul tema tradizionale delle corna e sul rapporto vita/arte. Sebbene come in ogni civile discussione gli interlocutori finiscano col sorridere senza giungere ad un punto di dichiarato contrasto, Sciascia non cela il dubbio su un’arte d’intrattenimento dai toni piuttosto leggeri.