STATION TO STATION ( terza parte)
(Lucilla Lo Verso)
Da quella notte, lui non fumò neanche una sigaretta, e si beava nuovamente di tutte le sensazioni dimenticate. Ma continuava a andare ogni notte alla stazione, per lei. Da quella notte, lei riuscì a prendere pacificamente sonno per la prima volta da tre anni. Nessun mostro venne a disturbarla. Ma continuava ad andare ogni notte alla stazione, per lui. Da quel bacio, i due si amarono ogni notte. Si amarono in ogni modo possibile e immaginabile, e se lo dissero, dieci, cento, mille volte. Sarebbero stati disposti a ripeterselo all’infinito, se fosse stato necessario. Ma sapevano che tutte le parole del mondo non avrebbero potuto esprimere quello che provavano l’uno per l’altra. Andava oltre il materiale, e anche oltre l’immateriale. Oltre alle normali emozioni e sensazioni. E loro in esse si ubriacavano al pari delle baccanti, non avendone mai abbastanza.
“Mia madre è preoccupata per me, sai? Non vuole che venga ogni sera qui, da te. Ma a me non importa quello che dice, sono maggiorenne e vivo da sola, posso fare quello che voglio.” Julia lo disse con forza e quasi cattiveria. Il moro le afferrò una ciocca riccia e la tirò leggermente, provocando nella ragazza brividi di apprezzamento.
“Non mi hai mai parlato di Lei, la ragazza che aspetti.”
“Aspettavo” la corresse lui. Il cuore di Julia perse un battito, per poi ricominciare a un ritmo frenetico per la felicità. Per lui, che l’aveva aspettata ogni notte per mesi, Lei non esisteva più. Esisteva solo Julia.
“Lei era la mia ragazza. Eravamo in viaggio per Sheffield, volevamo scappare da tutto e da tutti. Sognavamo in piccolo, ma il nostro amore rendeva tutto grandioso. Lei avrebbe voluto aprire una libreria” sorrise “di quelle piccole e rustiche, con i mobili in mogano. Così avrebbe potuto rimproverarmi ogni volta che per sbaglio ne avrei graffiato uno. Io avrei aperto un pub o qualcosa del genere, non mi importava. L’avrei seguita ovunque.” Il suo viso aveva un’espressione serena dipinta sopra, e Julia si beò di quell’immagine per qualche secondo. Poi lo sguardo del ragazzo si incupì, come un mare in tempesta.”Ma poi” mormorò “l’incompetenza di qualche stupido e meschino essere umano ha rovinato tutto.” Julia fu spaventata dal tono del ragazzo accanto a sé: sembrava che quelle parole le avesse sputate con estremo disprezzo e ribrezzo. Ma si limitò a poggiare una mano su quelle di lui, chiuse a pugno e contratte. “Chi avrebbe dovuto controllare che i binari non avessero problemi, non lo ha fatto. Era estate, e il caldo, che ha la capacità di far dilatare i metalli, ha modificato la lunghezza dei binari, che si sono storti leggermente. Ma è bastato per far sbandare il treno su cui eravamo, cadendo e rotolando ovunque. È stato un gran macello. Io sono uno dei pochi sopravvissuti. Credo di essere riuscito solo adesso ad elaborare la sua morte.” Se prima la voce del ragazzo era aggressiva e arrabbiata, il suo discorso finì in un sussurro divorato dalle lacrime e soffocato dai singhiozzi. Julia si sentì impotente di fronte a quella scena. Il ragazzo che amava soffriva, e lei non sapeva come aiutarlo. Si limitò a stringerlo tra le proprie -sin troppo esili- braccia, sperando di confortarlo almeno un po’. Passarono i giorni, e la primavera fece spazio all’estate. Una notte Julia giunse alla solita panchina, ma il ragazzo non c’era. Aspettò per tutta la notte. Lui non arrivò. E così le notti seguenti, per due settimane intere. Passava i giorni chiusa in una confusione mentale e assaggiava la solitudine, stupendosi del sapore amaro e sgradevole che non ricordava.Allora la ragazza decise di fare qualche ricerca. Magari, scoprendo qualcosa di più su quell’incidente, avrebbe scoperto dove si trovava il ragazzo. O almeno, era il proprio modo per tenersi occupata, non pensare, e aggrapparsi a una vaga speranza. Si chiuse in casa, alla disperata ricerca di un qualcosa, qualsiasi cosa che avrebbe potuto dirle dove trovarlo. Uno dei suoi mostri era tornato a farle compagnia, quella notte. Ricominciò a non dormire, la fame le era passata, e di conseguenza il peso e il colorito roseo, che aveva ripreso, l’abbandonarono come se non le fossero mai appartenuti.
Finalmente trovò quello che cercava.
Era un articolo, un vecchio articolo su un vecchio giornale. Aveva dovuto spulciare gran parte della sezione dedicata ai quotidiani all’interno dell’enorme Biblioteca Nazionale. Si parlava di un incidente ferroviario, accaduto nelle stesse esatte circostanze raccontate dal moro. Era presente anche una lista delle persone coinvolte dall’incidente. Julia non sapeva il nome della ragazza, ma tra le foto dell’elenco ne cercò le caratteristiche fisiche che le erano state narrate mesi prima.
La trovò. Emily Russell.
Si morse il labbro dall’invidia per la bellezza della ragazza, e il suo sguardo sfiorò le proprie mani, pallide e magre. Distolse lo sguardo, infastidita. Cercò con gli occhi la data di pubblicazione del giornale.
Secondo i suoi calcoli avrebbe dovuto essere il 2011, in uno dei mesi estivi. L’anno segnato in alto era il 1994. 17 luglio 1994. Per qualche secondo le mancò il fiato, e una forte morsa le strinse il petto quasi fino a farla gridare di dolore. Boccheggiò alla ricerca d’aria. Cercò di ricomporsi, e si diede mentalmente della stupida.
‘Cose del genere capitano spesso’, si disse, ‘devo avere confuso i giornali.’
Ma poi fu un attimo.
Le cadde l’occhio su una delle foto nell’elenco delle vittime dell’incidente, e lo vide.
Lui. Era lì, in quell’elenco. Lui, era morto, nel 1994. (continua)