BUTTERFLY AL REGIO DI PARMA
( Salvatore Aiello)
E’ tornata al Regio di Parma, inserita in una ministagione tra gli eventi dell’Expo 2015, Madama Butterfly di Giacomo Puccini. All’alzarsi del sipario la rappresentazione di una geisha ci introduceva all’allestimento scenico, assai collaudato, del Verdi di Trieste, un allestimento minimalista che consentiva a Giulio Ciabatti, regista, di non scadere in gratuiti sentimentalismi in cui tradizionalmente si incasella la vicenda. Come già ricordato, le scene assai semplici e in qualche modo simboliche della vita giapponese, avevano il merito di incentrare tutta la vicenda toccante ed umana della quindicenne Cio-Cio-San vittima di quello che noi oggi intendiamo per turismo sessuale. Amaramente di questo infatti trattasi e lo sgomento che l’intreccio provoca ci presenta un saggio di ciò che può il maschio occidentale, certamente non voglioso di integrazione, affascinato dall’esperienza orientale, bramoso di usare tutti quei raggiri arroganti e menzogne ridicole per raggiungere soltanto il suo fine egoistico.
L’opera segna un momento alto del compositore lucchese anche se travagliato sempre, egli ci inoltra in una musica che ha il fascino di ipnotizzare il pubblico per quei momenti di tenerezza, di tenera espressione, di purezza, di fragilità corredo di Butterfly vittima di un gioco più grande di lei, in ostaggio fra le convenzioni sociofamiliari e l’incanto che l’amore le profila. In tutta la vicenda certamente la simpatia umana va alla protagonista che maturata, diventata donna, acquisisce e cresce in grandezza, dignità e fierezza mentre il signor Pinkerton, nonostante il suo finale “Addio fiorito asil” (omaggio dell’edizione bresciana) e le sue lacrime di coccodrillo, ce lo disegnano a tutto tondo come un bel mascalzone. L’opera si conclude con il suicidio della fanciulla allorché torna a riappropriarsi della propria storia personale morendo con onore non avendo saputo vivere con onore. Tutto in Puccini lascia il segno, qui la drammaturgia raggiunge una tensione alta e naturalmente commuove però se ci sono gli interpreti capaci di concreare, di dare volta per volta al personaggio attraverso l’itinerario umano e psicologico, la dovuta cifra. Dopo aver divagato volutamente, torniamo ad occuparci del nostro spettacolo che purtroppo dobbiamo definire piatto e qualche volta monotono per la carenza di quell’empito e quella forza che trasformano la musica in pezzi di vita. Il primo neo era senz’altro da addebitarsi alla direzione di Francesco Lanzilotta, una conduzione e una gestualità che ci lasciava intendere soltanto la preoccupazione di dialogare con l’orchestra senza una visione propria della concertazione, avara di particolari accensioni, di larghi squarci melodici e per di più,talvolta,carente dei dovuti colori.Anche la regia risultava senza particolari guizzi lasciandoci l’impressione di una visione solo descrivente ma ne abbiamo apprezzato, per lo meno, l’avere avuto rispetto dell’Opera e del suo autore. In questo contesto ha mosso i suoi passi Yasko Sato, una Butterfly in qualche modo partecipe e presente che non ha dato vita totale al personaggio che cresce nell’anima e si coltiva di anima, mettendo purtroppo in evidenza una tecnica non sempre scaltrita e maggiormente in zona acuta come non ci ha regalato quelle dense emozioni, trasalimenti, ansie, dolcezze e quel fraseggio poetico che fa di Puccini il grande conoscitore dell’animo umano. Angelo Villari, nei panni di Pinkerton, si è distinto per una organizzazione vocale fresca, di buona lega, con lucente smalto più evidenziato in zona acuta, per un fraseggio mordente capace anche di accensioni credibili. In aggetto Sivia Beltrami, una Suzuki in rilievo per timbro, volume ed interpretazione. Lo Sharpless di Damiano Salerno si limitava ad una corretta lettura del personaggio privilegiando morbidezze e toni dimessi. Simpatico ed aderente il Goro di Andrea Giovannini. Completavano il cast Leonora Sofia (Kate Pinkerton e La madre di Cio-Cio-San), Matteo Mazzoli (Yamadori), Daniele Cusari (Lo zio Bonzo), Adriano Gramigni (Yakusidé e L’ufficiale del registro), Tae Jeong Hwang (Il commissario imperiale).Nella norma la prova del coro istruito da Martino Faggiani.Colorati i costumi e le scene, di cui si è già parlato, di Pier Paolo Bisleri. Tiepidi i consensi da parte di un pubblico un po’ freddino ma soprattutto non particolarmente ispirato, tra cui si distingueva però Raina Kabaivanska, maestra della Sato e della Beltrami, commossa oltre ogni limite.