I MANICARETTI DELLE MONACHE DEI MONASTERI DI PALERMO

(Giacomo Cangelosi)

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Per dare un cenno alle leccornie che i monasteri preparavano e vendevano agli avventori, prenderò in prestito uno scritto di Giuseppe Pitrè (in corsivo le sue parole), mio insigne collega (medico come me e amante della Palermo felicissima), che enumera in modo sagace i manicaretti delle suore. Ancora fino agli anni ’70 del XX secolo era possibile acquistare i cannoli dalle suore del monastero delle Vergini e di quello di S. Caterina. Attraverso una ruota (simile a quella che veniva usata per abbandonare i neonati) pagavi e ritiravi il vassoio. Dice Pitrè che "ciascun monastero aveva una piatta, un manicaretto, ch’era il suo distintivo. Giacchè, non pur l’emblema in marmo o in legno sulla porta del monastero formava il blasone di esso, ma anche il dolce speciale solito a farsi nel monastero medesimo". Nessun pasticciere della città riusciva a preparare tali pietanze e dolci come facevano le suore!

Le monache benedettine del Gran Cancelliere erano famose per le feddi (in siciliano le natiche e quindi con chiara allusione al “culo” del Cancelliere o forse delle suore) dolce di pasta di mandorle dalla forma bombata e ripieno di marmellata di albicocche e per la cucuzzata (zuccata); se desideravi la frutta di pasta di mandorle dovevi andare, invece, dalle benedettine della Martorana. A questo proposito si narra che un giorno queste suore dovessero ricevere un personaggio importante e gli alberi del loro giardino fossero spogli perchè era inverno. Non si persero d’animo, realizzarono i vari tipi di frutta con la pasta di mandorle e li colorarono cosicchè in ogni albero vi erano frutti di stagioni diverse!

 

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Il riso dolce (bollito e insaporito con miele e cannella e ricoperto di cioccolata) era prerogativa delle basiliane del SS. Salvatore mentre le conserve di scursunera (dalla radice di una pianta) venivano attinte a Montevergini.  Le Domenicane di S. Caterina erano specializzate in cucuzzata e bianco mangiare (crema bianca a base di latte di mandorle e cannella). Quest’ultimo veniva preparato anche alla Concezione insieme ai muscardini ( biscotti croccanti aromatizzati alla cannella).  "Molti menavan vanto del loro pane di Spagna, ma in confronto a quello della Pietà, qualunque dolciere doveva andarsi a riporre". Alle Stimmate realizzavano le sfinci ammilati (sbuffi di pasta fritta al miele) che "pure nel medesimo monastero assurgevano a squisitezza impareggiabile nella forma delle sfinci fradici(come le sfinci ammilati ma ripieni di crema pasticcera). Le Minime dei Sett’Angeli preparavano caponate e biscotti con il sesamo (strunziddi di l’ancili o reginelle) e quelle di S. Elisabetta le ravazzate (dolci fritti con ripieno di ricotta) e le nucàtuli (impasto di mandorle, fichi secchi, uvetta e miele chiusi in pasta frolla) ; nessuno meglio delle benedettine dell’Origlione confezionava le impanatiglie di conserva ( dolcetti di pasta frolla a forma di semiluna ripieni di carne, mandorle, noci, cioccolato, zucchero, cannella e chiodi di garofano). Da Valverde uscivano le cassate e dalla Badia Nuova i cannoli, teste di turco (enormi bignè a forma di turbante ripieni di crema pasticcera o di ricotta) e cassatelle. I cannoli nascono verosimilmente da uno scherzo carnevalesco che faceva uscire dal rubinetto (in siciliano cannolo) crema di ricotta anziché l’acqua.

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"Se S. Vito pompeggiava con i suoi agnelli pasquali (dolci a forma di agnello di mandorle, glassa e confetti ripieni di conserva) e con lo sfinciuni e i Sett’Angeli con le loro mustazzoli, in tutto l’anno tenevansi in alta fama le Vergini con le impareggiabili loro sussameli" (biscotti durissimi in bagno di sciroppo) e le minne di Virgini (cassatelle a forma di mammelle simili a quelle che a Catania si preparano in onore di S. Agata). Le carmelitane di S. Teresa preparavano squisite cassate in freddo. Le suore del Conservatorio di S. Lucia erano famose invece per la cuccia (frumento bollito condito con crema di ricotta), in ricordo del voto fatto alla santa che fece arrivare a Palermo, dopo un periodo di carestia, una nave carica di grano. Vi erano anche monasteri più poveri che comunque non si negavano la preparazione di piatti particolari, pertanto alle Cappuccinelle si preparava lo scacciu (ceci e semi abbrustoliti e salati), mentre all’Assunta le olive piene. Anche nei periodi di digiuno nei quali non era permesso mangiare carne, latte, formaggi, uova e grassi animali, le monache non lesinavano dolci e così inventarono i quaresimali (biscotti croccanti a base di farina, zucchero e mandorle). E per Pasqua la facevano da padroni i pupi con l’uovo (dolci di pasta frolla a forma di pupattolo in cui veniva inserito un uovo sodo).

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Per S. Martino, infine, i biscotti di S. Martino nella variante “chini” (inzuppati in liquore e farciti con crema di ricotta) e “decorati” (ricoperti di glassa e confetti e ripieni di conserva), entrambi accompagnati da vino moscato. "E come a lato del male sta il bene, così quasi a rimedio delle inevitabili indigestioni, la badia di S. Rosalia compieva il pietoso ufficio di preparare un antiacido medicinale, di sicurissimo effetto".

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