Le Toréador e Cavalleria rusticana

( Salvatore Aiello)

image

Bozzetto di R. Guttuso

E’ approdato al Massimo un dittico assai strano ed insolito: Le toreador opera bouffon del 1949 di A. Adam, in prima assoluta in Italia in lingua originale e la mascagniana Cavalleria rusticana, grido appassionato del Verismo musicale italiano, distanti per clima culturale, sociale ma soprattutto per i diversi intenti melodrammatici. L’unico accostamento è stato trovato nelle due opposte maniere di intendere e vivere i rapporti sentimentali:nel primo caso un brillante esito di ménage à trois, nel secondo un cruento delitto d’onore con estinzione di uno dei due rivali in amore. Adam con leziosità e leggerezza, da abile e navigato compositore ci presenta un gioco delle parti condotto abilmente da Coraline, giovane cantante d’Opera a Parigi, segretamente innamorata del flautista Tracolin, mal maritata, per consiglio sprovveduto dello zio, con l’anziano torero Don Belflor, geloso e sospettoso come un Don Pasquale.

Questi ancora in balia dei bollenti spiriti, cade nel tranello teso da Tracolin che gli suggerisce di cedere all’amore della spasimante Caritea. Il tradimento scatenerà l’ira di Coraline che l’accuserà di infedeltà; non gli resterà che chiedere perdono alla moglie intenta ad introdurre il giovane amante nella loro vita coniugale per realizzare così il desiderato accord parfait.

image

Christopher Magiera (Tracolin); Ugo Guagliardo (Don Belfior); Laura Giordano (Coraline)- Foto di Rosellina Garbo

 

L’Opera riscosse, all’Opéra-Comique, un vivo successo perché in fondo riproponeva una tranche de vie di gente dello spettacolo con puntuali riferimenti al vaudeville, concedendo spazi di ilarità ed esilarante svago. Di tutt’altra caratura la trama e l’atmosfera drammatica del capolavoro di Mascagni tratto dal dramma insigne del grandissimo scrittore etneo, Giovanni Verga che ci immette in quella condizione amara e sofferta delle plebi meridionali: i Vinti e tutti i vinti dal destino, incatenati alle incontrollate emozioni e riti atavici, si abbandonano a reazioni che tranciano definitivamente la loro nuda esistenza: Turiddu morendo lascia soli Mamma Lucia, Santuzza e forse un figlio che da lei aspetterebbe; ma rimane sola anche Lola con Alfio in galera, in un villaggio che coralmente si ammanta di lutto e di dolore. Lo spettacolo a Palermo era affidato alla regia di Marina Bianchi con qualche idea gradevole per quanto riguardava l’opera francese,sobri e pertinenti i costumi e le scene di Francesco Zito. La compagnia di canto risultava non del tutto omogenea; Laura Giordano con vivacità e spigliatezza, destreggiandosi tra parlato e canto, disegnava una Coraline tutta pepe, mettendone in risalto l’astuzia e la falsa ingenuità del personaggio. Ugo Guagliardo vestiva i panni di Don Belflor in un gioco scenico credibile e con scioltezza risolveva la cifra dell’anziano irrequieto e in qualche modo con ridicola accondiscendenza. Christopher Magiera lasciava un po’ a desiderare per una vocalità spesso tesa e priva di brillantezza anche se scenicamente credibile. Stefano Ranzani a capo dell’orchestra riusciva a mettere in luce tutta la simpatia dello spartito, il potere carezzevole delle idee musicali, del tutto orecchiabili, con partecipazione viva col palcoscenico.

image

Chiara Fracasso ( mamma Lucia),  Luciana D’Intino (Santuzza) -Foto di Rosellina Garbo

In Cavalleria invece si abbandonava a sonorità corrusche e sanguigne, di stampo prettamente veriste che qualche volta soverchiavano il palcoscenico su cui dominava la Santuzza di Luciana D’Intino, piena di accenti e di perorazione nel canto che a tuttora regge. Discontinua la prestazione di Carlo Ventre, più agevole in fase acuta, talvolta mancante di quel pathos lirico che fa del personaggio un predestinato alla morte.

image

Alberto Mastromarino (Compare Alfio) -Foto di Rosellina Garbo

L’Alfio di Alberto Mastromarino si imponeva solo con una vocalità piena ma spesso non del tutto adeguata a trovare nuances per il marito tradito. Valeria Tornatore era una compassata Lola; di buona pasta la Mamma Lucia di Chiara Fracasso. Francesco Zito che ne curava anche le scene e i costumi, ripristinava il bozzetto di Renato Guttuso come sipario introduttivo. Senza guizzi la regia di Marina Bianchi. Bene il coro istruito da Piero Monti. Un po’ in ombra le esibizioni coreutiche di Elisa Arnone e Giuseppe Bonanno su coreografia di Enrico Morelli.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy