Gli enigmi irrisolti di Patrick Modiano
(Carmelo Fucarino)
Il premio Nobel nacque dal rimorso per una questione di alchimia. Si trattò della scoperta dell’acqua calda. Nobel rese inerte con farina fossile e poi con semplice segatura la nitroglicerina già scoperta dall’italiano Sobrero nel 1847. Nel 1867 Alfred Nobel brevettò la dinamite e la mise a disposizione dell’industria bellica del padre. Dopo qualche tragico incidente, come la morte di un fratello, impiegò la vita a inventare altre diavolerie belliche (la gelignite, la balistite e la cordite). Divenuto ricchissimo, si ricordò del piemontese di Casale Monferrato Sobrero al quale intestò un vitalizio. E infine per disposizione testamentaria del novembre 1895 ad un anno prima dalla morte furono assegnati dal 1901 i premi per la scienza (chimica, medicina, fisica) e per le lettere. Non si dimenticò della pace. Forse certo che non ci sarebbe mai stata, buon per la sua industria e i suoi brevetti.Questo per fare il punto su un rito annuale dell’Accademia Reale Svedese delle Scienze e dei premi milionari che vengono ogni anno assegnati in autunno. Il rimorso, decurtato del 20% per la crisi, quest’anno ha come premio letterario 875 mila euro. Per dare un aiutino a quei letterati che già vendevano di loro e che godranno di un’onda di riflusso per la notorietà dell’incentivo.Quest’anno è toccato al francese Patrick Modiano. E molti ci siamo chiesti: chi è costui? Oggi si dice autore di nicchia. Forse lo stesso si sarebbe detto allora di una Grazia Deledda, scrittrice di romanzi per signorine.
E forse all’estero altrettanto avranno detto del clown Dario Fo. Ricordo che qualche raccontino di Selma Lagerlöf passò nelle antologie scolastiche, ma chi conosce oggi o legge tanti ignoti nomi che lo hanno avuto assegnato. Basta scorrere la lista dei circa 110 letterati giubilati per nazioni ed aree geografiche, a seconda del politically correct. Ma la fascinazione del Nobel ha sempre un suo richiamo e quest’anno, dopo tanti anni che lo snobbavo, ho voluto darla vinta alla curiosità e, superato il disorientamento per la mia ignoranza della letteratura odierna, ho voluto aggiornarmi, colmare la mia grave lacuna. Ed ho scelto il romanzo decantato come il suo capolavoro. O quello che si dice il migliore di Modiano: Dora Bruder del 1997 (edizione Gallimard). Un vecchio numero di Paris Soir del 31 dicembre 1941, una quindicenne scomparsa. L’incipit che dà il la alla storia. E mi sono ingolfato nella sua ricerca a scatole cinesi. Un titolo di cronaca e indirizzi di gloriose vie della Paris odierna, schede e persone, in un itinerario in cui i nomi hanno spesso un loro suono, che a me non dice nulla. Moltissimo contano certamente per l’autore che si aggira per quelle strade che un tempo furono quelle della sua infanzia e giovinezza. Altre strade addirittura sono scomparse, case spianate dall’edilizia moderna e muri sospesi, immaginati come erano allora, in quel tragico 1941. Questo l’anno di riferimento, un suo inverno meteorologico, ma anche delle umane vicende, tra rastrellamenti, commissariati e Depositi della Polizia delle Questioni ebraiche, umane tragedie, descritte da nomi e luoghi non più esistenti, per noi puro agglomerato di fonemi, che ad un certo punto ci infastidisce per la loro anonima arida nudità. Sono i luoghi di quel tragico martirio ebraico, rievocati, narrati con la semplicità orrenda del fatto, delle annotazioni burocratiche di caserme e scuole e appartamenti. E il collegio di suore. Per restituire il quotidiano di una quindicenne ribelle e della sua famiglia di ebrei immigrati attraverso semplici ipotesi di indirizzi e di annotazioni, di evanescenti e improbabili testimonianze, rovistate nel mare magnum delle vite disperse. La biografia della ragazza e della sua famiglia per indizi. Alla fine resta sempre un enigma, il tentativo di ricostruzione di una scomparsa. Quella resa finale che conduce diritta ad Auschwitz. Le sequenze aride di documenti e strade, gli elenchi di nomi danno la vertigine e il senso del vuoto di quella stagione del 1941 a Parigi. Per riportare alla luce ciò che era stato cancellato, dice lui. Poi ho letto le trame degli altri romanzi. A cominciare dall’ultimissimo, L’erba delle notti, del 2012. Qui il protagonista Jean, voce narrante, rincorre da un vecchio taccuino nomi, indirizzi, numeri di telefono, strade e personaggi, come se temesse che «da un momento all’altro le persone e le cose si dileguassero o sparissero e fosse necessario conservare almeno una prova della loro esistenza». Ma andiamo indietro al 1978 e a Via delle botteghe oscure, con il quale vinse il Prix Goncourt. Qui un detective, perduto nella sua amnesia, si cerca nella Parigi desolata e tragica, ancora quella dell’occupazione nazista. In altro romanzo l’indagine può partire da una vecchia fotografia per rievocare il ricordo di un fotografo conosciuto nel Sessanta, come avviene ancora in La primavera da cani del 1993, tradotto dalla palermitana Maruzza Loria. Così nel Viaggio di nozze del 1990 (citato a p. 50 di Dora Bruder), quasi a dire in altra forma la peripezia di Dora, una giovane ebrea scappa di casa e si rifugia con l’amante in Costa Azzurra. Poche esili varianti in un vero e proprio format che si ripete e articola in versioni diverse che hanno sempre questo tentativo di svelamento di un enigma, la traccia, la semplice orma. Con protagonista una Parigi vicina vissuta nelle strade dell’oggi e ricostruita in quella dell’infanzia, attraverso piante catastali e ricordi che diventano più veri della realtà, anzi tornano a vivere e diventano immortali attraverso la parola. La nebbia di un passato attraverso le strade e personaggi evanescenti che la parola riesce ad animare, a dare loro un corpo, a renderli vivi per sempre. Non troverete che sensazioni di vie e di appartamenti, non Notre Dame o i boulevards. Non come l’itinerario turistico per luoghi famosi (con cartina annessa) nel Codice celebre di Dan Brown o la fotocopia inventiva delle chiese evocate con tipologia da Wikipedia nella Roma indagata dal penitenziere smemorato, Il cacciatore del buio di Donato Carrisi, il thriller best-seller delle ovvietà e dei comunissimi luoghi televisivi, cotti e stracotti. Qui sono i luoghi dell’anima di Modiano, quelli che solo lui conobbe e amò nella sua giovinezza. Quelli in cui a un certo punto irrompe la sua autobiografia, il rigattiere dei furti giovanili, i rapporti con il padre ingaglioffito, la sua visione nel cellulare, la madre attrice. Perciò sono ricordo e di esso hanno per lui il profumo, un certo fastidio per noi che nulla sappiamo e proviamo per essi: «Si dice che se non altro i luoghi serbano una lieve impronta delle persone che li hanno abitati. Impronta: segno incavato o in rilievo» (p. 26). A parte l’intrusione metaletteraria della cartina del Lungosenna della Parigi notturna, la fuga di Colette e Jean Valjean nei Miserabili