GIANNINO BALBIS, NON CHIEDERE ALLA NEVE PUNTOACAPO EDITORE, RENDE
(FRANCESCA LUZZIO)
Cinque poemetti che narrano in versi di vita vissuta, di un passato che non tornerà più: la vita contadina e i suoi valori ancestrali, i lunghi racconti delle sere invernali, un orfano che s’imbarca e la “ Merica amara” per tanti migranti, la guerra, i Tedeschi, la resistenza, un matrimonio sbagliato, sono i momenti di vita trattati nei poemetti per poi infine riconoscere, confessarsi l’impossibilità di trovare un senso agli eventi, forse un significato alla stessa esistenza , “… sogno \ che sta tra due notti o la notte \ che va da mistero a mistero. (La principessa e l’orfano, pag 19) Giannino Balbis quindi racconta- poetando di un mondo che il capitalismo prima e la globalizzazione oggi ci dicono lontano, perduto. Ma ahimè, non è solo la cultura materiale che non tornerà più, ma anche i valori, che in essa si coltivavano sostanziando la vita, sono ormai solo un ricordo.
Ed intanto la neve, metafora polisemica, insieme tempo, flusso incessante del suo divenire, caso, occasione a cui nulla si può chiedere intorno al perché di questa storia e non un’altra, della storia di ogni singola vita, continua a cadere nell’indifferenza amorfa nei confronti della nostra esistenza, dei nostri ricordi, unica essenza vitale di ciò che fu: “Non chiedere alla neve \ il senso delle storie \ vissute e non vissute. \ Non chiedere ala neve \ se sia più corto il vivere \ oil suo significato.”(L’ultima confessione, pag.41). Forse, quando si giunge ad una età in cui più frequentemente si è indotti a fare una sintesi e una sorta di resoconto della propria esistenza, maggiormente ci s’interroga sul suo mistero, sul suo significato e il poeta non viene meno a questa naturale domanda che, nell’assenza di risposta, trova proprio nello stesso vissuto l’unica ragione che la giustifichi, però la consolazione del sogno memoriale per il poeta è avvilita dalla consapevolezza che quel modus vivendi, quei valori ormai non esistono più se non nei ricordi di coloro che nacquero e crebbero in quel contesto, nutrendone lo spirito ed i comportamenti. Quanto suddetto vuole evidenziare come la poesia di Giannino Balbis sia sostanziata di contenuti intensi, profondi, eppure essi sono immediatamente recepibili grazie ad uno stile che si avvale di un linguaggio privo di artifici, chiaro, della forma descrittiva e dialogica, quasi a volere istaurare un colloquio non solo con i personaggi del suo ieri e con se stesso, ma anche con i lettori attraverso il recupero degli aspetti concreti della vita, testimonianza di un contesto umano e socio-politico. Balbis nella sua semplicità e concretezza espressiva s’inserisce appieno nella linea antisimbolica ed antinovecentista del Secondo dopoguerra e come Sereni o Bartolucci è indotto a toni semplici, ad allargare lo stile a registri espressivi che non rifugiano anche da qualche termine dialettale. La scelta del poemetto e il suo realismo contenutistico e formale, la musicalità del verso, ottenuta soprattutto attraverso l’ictus dei prevalenti settenari e novenari, sollecitano l’emotività e la mente del lettore alla condivisione del racconti-ricordi e della problematica esistenziale che da essi scaturisce.