Svanda all’Inferno e ritorno

(Carmelo Fucarino)

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Un Robin Hood, in salsa fiabesca ceca, ladro gentiluomo fino al masochismo, vero protagonista tanto da avere assegnata la parte del tenore, e il simbolo musicale della Boemia, la cornamusa popolare. Sono i protagonisti di questa fiaba di pretto stile romantico, presentata al teatro nazionale di Praga il 27 aprile 1927, fuori dai tempi in una città che ormai si specchiava nell’espressionismo. Ma tanto valeva il tema patriottico in una terra di confine, prima suddita insofferente dell’impero austro-ungarico e poi aggredita dalla Germania nazista nel 1938, un popolo che cercava la sua redenzione identitaria e la sua indipendenza, traiettoria conclusa soltanto il primo gennaio 1993 con la scissione dalla sorella Slovacchia.

Ritornato in patria dopo un periodo di insegnamento in USA, Jaromír Weinberger (1896-1967) compose Švanda dudák che il suo amico Miloš Kareš adattò da un dramma romantico di Josef Kajetán Tyl. Ne uscì questa allegra riesumazione delle favole slavo-tedesche intrecciate con i temi leggeri e i motivi musicali del folklore popolare. Ne risulta più che un’opera tradizionale basata sul grandioso e sul mitico una vera e propria Volksoper. Perciò possono essere comprensibili in quell’area mitteleuropea le più di duemila sue rappresentazioni nei primi tre anni, come pure spiegabile è l’assenza nei teatri occidentali, pur con un passaggio al Metropolitan nel 1931. Così avvenne pure per le oltre cento sue composizioni tra opere, operette, testi orchestrali, da camera e vocali. L’opera debutta perciò a Palermo in prima assoluta italiana nell’allestimento della Semperoper di Dresda del 2012. In effetti un italiano ha firmato in Irlanda nell’ottobre del 2003 la regia teatrale, il veneziano Damiano Michieletto, al Wexford Festival Opera con grande successo e vincendo ivi il Theatre Awards. Introdotta da una lunghissima ouverture che assembla diversi temi musicali popolari, distratta dalla consueta intrusione registica, qui le apparizioni clownesche, la scena iniziale sviluppa in ambiente bucolico ed idilliaco il tema dell’amore semplice e sincero. Non poteva essere diversamente in sintonia con la zampogna di stampo alessandrino, teocriteo e virgiliano. Sarà l’intrusione del bandito a sconvolgere quella pace con l’allettamento del fasto regale e dei doni che può procurare la sua bravura artistica. Così con la sua cornamusa risuscita la regina triste dalla sua noia mortale, sul tema popolare della Bella Addormentata fatta tornare a vita dal bacio traditore, e coinvolge nell’allegra baldoria tutti i suoi sudditi. L’arrivo della moglie, errante alla sua ricerca, e lo spergiuro sul bacio inghiottono il fedifrago in una tregenda infernale che conclude questa lunghissima sarabanda di ritmi (ben novanta minuti). La sequenza infernale del secondo atto si sviluppa in una serie di scene di ilarità leggera, dal giocoso battibecco sul rifiuto di suonare all’inconsapevole vendita dell’anima. Poi la discesa agli Inferi di Babinský, nell’inversione dei ruoli delle celebri riportate in terra, Euridice ed Alcesti (pure costei resa da Euripide in termini comici ed ilari), mito classico capovolto, la surreale partita a carte con il diavolo e la sua vittoria finale. Poi sull’eco satanico degli Stivalletti di Cajkovskij del 1885 o di La notte prima di Natale di Rimskij-Korsakov del 1894-95, la sequenza frenetica ed esilarante del diavolo beffato dal baro più baro di lui. Proprio da dire un povero diavolo con quei toni supplichevoli e disarmanti, soprattutto negli accenti malinconici di un mondo senza gioia, ove Belzebù spera di trovare un po’ di allegria dalla terrena melodia della patriottica cornamusa. Fra gli infiniti temi popolari ci ha spinto a battere il piede al suo ritmo il tema assai orecchiabile e gioioso della Polka con la quale Svanda (baritono) caccia la tristezza dei sudditi o della inarrestabile “Fuga” con la quale si sfrenano i diavoli nel saluto all’inferno dei due uomini felici di tornare all’amore terreno. Ciò spiega perché entrambi i pezzi si sono uditi più spesso in forma concertistica (dirette da Fritz Reiner e da Herbert von Karajan). Certamente l’abbandono alla musica è senza freno, irrompe come un fiume in piena e non trova requie nella serie di motivetti, tra ouverture ed intermezzi a scena vuota. Eppure in questo profluvio di ritmi, nonostante la musica trasbordante, il silenzio ha dominato platea e palchi. Certamente l’edizione nell’ostico ceco ha giocato a sfavore, la traduzione titolata in italiano ha raggiunto talvolta il comico. A parte l’invito ad andare “all’imen”, che forse, così detto, non sanno cosa sia neppure gli studenti di un liceo classico, resta alquanto problematico che per tre volte il gallo si è fatto “gracchiare”. Talvolta la traduzione voleva ricalcare le inversioni dei termini, propri di certa poesia ottocentesca, pur non essendo una traduzione poetica. Era così difficile trovare un traduttore competente o una traduzione accettabile? Poca cosa, se si paragona al costo del grandioso apparato e agli effetti scenici, alla confezione dei soli costumi per la folla di comparse che hanno riempito tutta la scena. Con effetti strabilianti riguardo al faraonico che ricordava certe messinscena dell’Aida. Ciò in tempi di risparmi, che hanno probabilmente dettato la scelta, sicuramente originale, di un’opera sconosciuta e poco visitata, proposta per chiare ragioni sentimentali in un teatro sconosciuto ai più. Certo il Semperoper (dal nome dell’architetto Semper) è un edificio architettonicamente grandioso per il fastoso portale neoclassico sormontato dall’aerea quadriga di pantere. È stato un glorioso teatro della regione, sfortunato però e più volte ricostruito, dopo un incendio e con i rubli della DDR in seguito al terribile bombardamento a tappeto della città martire da parte degli Alleati. Tutti gli artisti del cast, direttore e regista, orchestra, coro e corpo di ballo hanno dato il meglio di sé stessi e la resa è stata gradevole, nonostante la privazione dei significati canori, tanto da non pesare eccessivamente il profluvio di canto e di musica. Nota tecnica: Dirige: Mikhail Agrest; regista, Axel Köhler, scene, Arne Walther, costumi, Henrike Bromber – Cast: Svanda, Pavol Kubán; Dorotka, Marjorie Owens; Babinský, L’udovít Ludha; La Regina Cuordighiaccio, Anna Maria Chiuri; Il Diavolo, Michael Eder.

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