Storie e odori di Palermo
(Carmelo Fucarino)
In una serata fuori programma e fuori stagione, a detta dell’organizzatrice della location della libreria Feltrinelli, la professoressa Gabriella Maggio ha voluto interrogare con la sua consueta profonda leggerezza, con le sue provocazioni e i colti richiami, il chimico narratore di gialli, di rabbrividenti horror e di humor surreale che, dismessa la veste del viaggiatore per lavoro nei paesi da me sognati nella loro magia della sabbia, della palma e del cammello, è voluto ritornare bambino. Così si è detto e lui ha confermato per quello che vi può esservi di goliardico e di sbarazzino nel ragazzo, io pensando al fanciullino di un poeta della Romagna, ma anche di quello di Recanati che volevano appalesarsi veri e innocenti. Perché nonostante il pretesto della variatio che assurge ad emblema di metodo diventando titolo e mi rimanda a Catullo e al mondo classico, in effetti i temi del no (sono quelli costruiti fuori Sicilia?) non servono che a mettere in piena luce quelli del sì, a trasferirli nella solarità del ricordo, a farne centro dell’esistenza. E solo di questi si è finito per parlare, della particolare atmosfera che sospira e lievita a Palermo.
Questo amore smodato per la Aziz, per la root profonda e incancellabile, più “radicata” con l’avanzare degli anni e più appassionata e patetica (nel valore semantico originario) con l’insistenza sulla lontananza, l’amore provenzale da lontano (amor de lonh), è predominato nel dialogo, divenuto spesso colloquio con i commenti ammiccanti dell’amico in prima fila. La terra del ritorno si è appalesata come la matrice suprema dell’affabulazione tanto che l’autore l’ha assunta come musa creatrice, a detta di lui e da lui esemplificata con aneddoti di tracce narrative. Se così è, se a Palermo i fatti si offrono da soli per immediate elaborazioni letterarie, spontanee, nella originalità che un finlandese non riuscirebbe a cogliere, allora solo qui si potrebbe e dovrebbe creare. Ritengo invece che solo da qui può trarre linfa chi ha bevuto per anni quest’aria e la ritorna ad odorare con il misticismo del ricordo. Ma si tratta di una visione, di una lettura particolare, diversa, forse più profonda e viva di quella che percepisce un autoctono che ne vive quotidianamente la banalità e tutte le storture. Anche gli odori, che non è detto che siano profumi. Io, per esempio, mi ricordo oggi solo del profumo dei mazzetti di pomelie venduti in via Maqueda o dei gelsomini che mi richiamavano l’Arabia della falsa traduzione del Macbeth, ma anche di quel profondo salato acquoso odore di sardine nella Vucciria rumorosa di offerte e di canti. La nostalgia può fare brutti scherzi, come quelli recepiti da Odisseo che per la sua pietrosa Itaca rifiuta le delizie e gli incanti di Circe, sì, maliarda, ma anche quelli della fanciulla virginale Nausicaa. Forse nessuno riesce ad immaginare la desolazione di Itaca e la vecchia grinzosa che doveva essere Penelope, troppo invecchiata per i canoni di quei tempi riguardo ad una donna almeno cinquantenne come doveva essere. L’altro tema discusso e solennemente dibattuto è riguardato i rimandi, non voluti o meglio ostentatamente rinnegati, al grande venditore di dialetto personalmente inventato (Verga prima e Buttitta dopo docent) fra le foreste delle Valchirie. Eppure l’amico innominato ha scritto a Carlo Barbieri, di cui si è parlato in questa serata, per la raccolta di racconti Uno sì e uno no, edizione di Dario Flaccovio (Palermo 2014), preziosa anche per l’impaginazione e la deliziosa copertina, ha scritto una parabola a forma di botta e risposta su tutti gli autori dello scibile, per andare poi a sbattere su Camilleri. Che poi non fosse così celata l’allusione si ricava da un altro racconto che allude ad un Andrea e sul quale si temono e rifiutano querele. Certo, devo ammetterlo, il poliziesco non gode la mia stima, neppure se serve da riempitivo nella noia della spiaggia. Così lo immaginò quel furbastro di Mondadori con la sua collana “gialla”. Originale la cronometrazione di lettura. Qualcuno in sala ha indicato tempi diversi, è la conseguenza dei ritmi diversi di interiorizzazione. Ma ritengo non saggio consiglio: “Così sull’autobus, in sala d’attesa o in bagno, uno si regola”. Un grande autore di best-seller ha giorni fa in una intervista imprecato contro i lettori da water, offeso e indignato per il luogo poco sacro, per un testo della sacra Musa. Ancora più mi pesa la serialità dell’indagatore. Sì, in questo caso lavora per interposta persona, ma sempre lui c’è, il Mancuso tornato dai lidi egiziani, con il suo nome che mi ricorda il mio bidello paesano. L’autore ha preannunziato una prossima indagine che si intriga con l’età dei Normanni. Questa sì che lancia una suspense. Un’amica scrittrice ha svelato i misteri di La ragazza dal volto d’ambra, occupandosi degli intrighi della Sicilia tra araba e sveva. Per la leggerezza dei toni, l’attesa e il mistero della soluzione, il riso (perché no, pirandelliano?) il libro può essere un compagno a cronometro della nostra estate. Anch’io, da ascoltatore consapevole, in questa mia chiacchierata ho voluto usare la leggerezza che richiede l’afa e il tema dei racconti. Chi li leggerà vi scoprirà nello scherzo anche la bellezza del narrare. E buona lettura!
Scopro questa recensione per caso, navigando su google. Una analisi davvero interessante, grazie prof. Fucarino. Spero la prossima volta di avere il piacere di stringerle la mano.
In genere non intervengo sulle risposte, ma volevo segnalarti un altro mio interventi del 13 dicembre 2013 su un intrigo internazionale che ti riguarda. Sono grato alla casualità che ti ha guidato su queste mie considerazioni sul tuo ultimo libro, brevi riflessioni date le misure di un blog. Non mancheranno occasioni per conoscerci.