Elegia e rêverie

(Carmelo Fucarino)

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Ci sono momenti della vita che riaffiorano e diventano l’oggi che si vale dei segni dell’ieri, tutto un intrigo di richiami e simbologie che ci fanno essere oggi la somma di tanti io che furono e si sono amati e combattuti negli anni. Il libellus di Tommaso Romano esprime già nel titolo, Tempo dorato (Qanat, Palermo 2014), la nostalgia di un’età dell’oro che da Rousseau a Leopardi non ha fatto che rinnovare l’aspirazione e la speranza che da Esiodo era giunta a Roma ed era stata resa immortale dalla speranza soteriologica del Virgilio dei Saturnia regna e della gens aurea (Eclog. iv, 4-10). C’è stato sempre un Eden in tutte le civiltà, dal giardino delle Esperidi dalle mele d’oro a quello di Adamo ed Eva dalla mela della conoscenza etica. Un giardino di delizie che per i Cristiani divenne il persiano paràdeisos, descritto da Senofonte. Un luogo al quale ritornare, fosse pur esso il ventre materno o la fanciullezza incontaminata, identica e immortale, il luogo cronologico, si può dire, in cui si sono agglutinati sogni e speranze, pensieri e azioni.

 

E sono queste immagini, questo topos dell’anima, a riaffiorare e realizzarsi per esprimere a noi stessi, quello che siamo, quello che vorremmo essere. Partendo da un tempo edenico, quello del rimpianto e del ritorno alla felicità. Tommaso torna con la sua nostalgica e risentita rêverie all’età dell’oro e di questa fa un tempo e uno stato d’animo irripetibili. È un viaggio ad episodi, come si sono manifestati e realizzati in tempi ed occasioni particolari, diacronico, attraverso il tempo della memoria, ma anche sincronico negli accadimenti conclusi, ma sempre attivi e presenti nella quotidianità dell’oggi. Un viaggio che non è l’amaro o parodistico amarcord di un vecchio deluso e sfiduciato, ma si sviluppa come riscoperta della felicità delle piccole grandi cose che furono la vita nella sua pienezza. Intanto l’autobiografia familiare, il padre imperante come simbolo da imitare, la madre salottiera e che «toglieva l’acqua ai gelati» dei figli. Perché il momento della perdita dell’innocenza e dell’acquisizione dello status di giovane, con tutte le implicazioni di responsabilità e di libertà giovanili, sono connotate dalla conquista dei calzoni lunghi e dall’esclusiva padronanza del gelato. Ed entrambi gli episodi sono legati alla resa materna. Il padre non è mai stato ucciso, come è avvenuto invece per la madre. E a lui si torna in questo processo di ritorno ab ovo dalle regioni italiche, ma meridionali, dalla Positano dei nobili ascendenti. Lui venuto “sulla via della seta”, per lo stesso tragitto dei Florio, venuti come spezieri e finiti nobili squattrinati nell’aristocrazia che cercava denaro e posizioni economiche. Lui fascista, che mai accettò «le inumane leggi razziali e l’alleanza”sciagurata” con l’alemanno». Il quadrisavolo Camillo Romano, poi, storico capo di un comitato rivoluzionario, assai diverso dal più celebre Liborio, ministro dell’interno di tutte le stagioni e della camorra. Tutta la passione di una famiglia che trova una nuova cittadinanza e in essa crea tutto un reticolo di amicizie e parentele. In questa “rimembranza” di pretto stile e concezione leopardiani, in questa primavera che bruciò l’arido vero, tutta la civiltà palermitana, i luoghi del nostro immaginario che ancora incantano una certa generazione. Le glorie gattopardesche del bar Mazzara si sono appena concluse, proprio in tempo perché non rientrassero nel de profundis di questo libro. Ma tanti altri luoghi non esistono più da tempo, contenitori di mneme, luoghi dello spirito per la nostra generazione, vissuta tra l’ultimo dopoguerra e il discusso e problematico Sessantotto. Si può dire che furono gli anni degli slanci impetuosi e della pienezza di vita, ma anche gli anni del nostro malessere.  Oggi li sogniamo, perché ancora ce ne sentiamo parte. Ma tutto è cambiato. Dalle speranze e dagli ardiri siamo avvolti dalla nebbia dell’incerto, del meschino, del volgare. Soprattutto la volgarità ci desola ed opprime, ci toglie ogni speranza di una rieducazione. Allora anche una passeggiata in via Libertà era un’acquisizione. Così allora si sentiva quel respiro del mare nel popolare Romagnolo, con i suoi mitici ristoranti, oggi si è numero turistico nei cortili della spiaggia di Mondello. E Palermo! Certo, non abbiamo vissuto la Belle Époque, ma pur tuttavia vi furono giornate radiose, vi furono luoghi di elezione, di mistica iniziazione. Prima che le griffe conquistassero gli ultimi baluardi, la piatta scialba acromica uniformità del globalizzante e dell’uniforme. Tutti i luoghi della nostra fantasia ritornano in Tommaso Romano e ci deliziano e ci salvano almeno per una mattinata dalla oscena quotidianità che impera nelle nostre antiche strade di elezione. Tutto è radicalmente mutato e solo la fantasia ci può salvare. Almeno noi che abbiamo conservato dentro di noi questi simboli e segni, questi ricchi ricordi di un tempo tradito e ucciso. Quella Imagination che Frank Sinatra cantò “funny”, “crazy”, “silly”:

«Imagination is funny
It makes a cloudy day sunny
Makes a bee think of honey
Just as I think of you».

Perciò, al di là della preziosa scrittura che per se stessa delizia, con i suoi ritmi sicuri e perfetti del narrare e poetare, un grazie per questa ferma elegia del ricordo, questo vagabondare fra luoghi e memorie che così saranno di tutti e per sempre, anche se a poco a poco saremo un piccolo gruppo a beneficiare della gioia del ritorno.

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