ANTICO , SONO UBRIACATO DALLA TUA VOCE CH’ESCE DALLE TUE BOCCHE QUANDO SI SCHIUDONO*
( Gabriella Maggio)
Pierre Narcisse Guérin, Enea racconta a Didone la caduta di Troia, olio su tela ,1815.
Venerdì 28 aprile 2014, nell’aula magna del Liceo Classico G. Garibaldi di Palermo, Lavinia Scolari, dottore di ricerca in Antropologia del mondo antico, ha trattato Il mito di Didone, le origini per un numeroso e attento pubblico di studenti. Teatro della conversazione il bacino del Mediterraneo nel quale il mito, procedendo da oriente verso occidente, ha avuto origine e si è progressivamente affermato nella forma che ci tramanda Virgilio nell’Eneide.
Lavinia Scolari ha sottolineato il particolare interesse dei nomi con cui viene chiamata l’eroina, Didone – Elissa, che rimandano alle sue peregrinazioni da Tiro alla Libia dove fonda Cartagine, guidando con forza e valore degni di un uomo, un popolo profugo (Deidò- Dido), ma anche agli attributi divini (el /dio- Elissa) di cui è ricca. Nel mito infatti si sono stratificati vari aspetti religiosi orientali legati al primo marito Acherba ( Sicheo in Virgilio) all’essere sacerdotessa di Melqart, assimilato ad Heracles, alla morte nel fuoco.
Recepito dalla cultura greca, come testimonia lo storico Timeo di Tauromenio, successivamente il mito passa nella cultura latina, nei testi poetici in cui vengono ricostruite le origini di Roma e che individuano nell’eroe troiano Enea il mitico fondatore. E’ Gneo Nevio che per primo nel Bellum Poenicum (poema epico che narra la prima guerra punica) salda la vicenda di Enea a quella di Didone, regina di Cartagine, ma i pochi frammenti dell’opera,che ci sono stati tramandati, non riescono a farci capire quanto fosse estesa. In età augustea il mito è ripreso e ampiamente sviluppato da Virgilio, che dà voce all’eroina innamorata di Enea e suicida per l’abbandono. Morendo Didone profetizza che tra Romani e Cartaginesi non potrà mai esserci pace, dando così una spiegazione mitica alle guerre puniche. In forma d’epigramma il mito ritorna nell’Antologia Palatina, XVI, 151 in cui Didone afferma : nec Aeneas me vidit Troius unquam nec Lybiam advenit classi bus Iliacis…sed furias fugiens …procacis Hiarbae servavi …morte pudicitiam.** Viene così parodisticamente negato l’approdo di Enea in Libia e tutto il racconto cominciato con Nevio. Tuttavia esso è rimasto vitale nella versione virgiliana nelle diverse epoche ed oggetto di rielaborazione degli scrittori.