Il mito del Grand Hotel et des Palmes

(Carmelo Fucarino)

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Foto Carmelo Fucarino

A proposito del Grand Hotel et des Palmes, nome affascinante e misterioso nel titolo, con quelle due slanciate palme a simbolo, scrive Gioacchino Lanza Tomasi nella Premessa della sua ultimissima edizione di Feltrinelli di Il Gattopardo (2012) che «l’edificio era sorto quale residenza degli Ingham, ma da quando era diventato albergo era stato il luogo preferito degli amori cittadini, e gli incontri alle Palme facevano ancora parte dell’immaginario erotico palermitano ai tempi della stesura del romanzo». La considerazione nasceva da una notizia che per i comuni lettori, ma soprattutto per gli amanti del film del conte Luchino Visconti, comunista riconvertito, potrebbe essere scioccante e suscitare un certo sconcerto. Fra le carte della principessa Alessandra è stato rinvenuto un frammento con il titolo autografo di Il Canzoniere di casa Salina (in appendice all’edizione, classificato B). Il Canzoniere, anche se non risulta evidente dal testo, «doveva fornire la rivelazione della passione del Principe per Angelica, passione mascherata in una sequenza di sonetti», con acrostico. Lo zio gli avrebbe accennato anche «la trama di un altro capitolo, in cui don Fabrizio evita uno scandalo presentandosi con anticipo a un appuntamento all’Hôtel des Palmes fra Angelica e un suo amante. Don Fabrizio precede alle Palme l’amante di Angelica, probabilmente il senatore Tassoni, la cui relazione con Angelica è menzionata nella parte VIII del testo pubblicato, e sventa l’agguato politico-mondano ordito contro la coppia» (pp. 23-24).

A margine del percorso di manifestazioni culturali dal titolo “C’era una volta in Sicilia: I 50 anni del Gattopardo” e di questo riferimento mi corre l’obbligo di ricordare la solida militanza di Gioacchino Lanza Tomasi al grande quotidiano L’Ora di Nisticò e la sua coraggiosa direzione artistica del Teatro Massimo 1971-75, prima dei successi a Roma, Bologna e Napoli. A proposito dell’ultimo Gattopardo è fresco di stampa per la Alma Books (Richmond, 2013), il suo Giuseppe Tomasi di Lampedusa: a biography through images, con prefazione di David Gilmour (autore di The Last Leopard: A Life of Giuseppe Tomasi di Lampedusa), anche con una puntualizzazione sulla “irredimibilità siciliana” ed altri punti di vista per immagini e parole. Strana sorte per una villa esotica extra moenia di estrosi e ricchissimi vignaioli inglesi che vollero un passaggio segreto per il gioiello di chiesa anglicana di fronte, loro famedio! Proprio straordinario destino finire in proprietà di Enrico Ragusa, entomologo (vedere suoi studi in Bollettino della Società Entomologica Italiana), un poetico amante di farfalle rare, che volle fare un albergo della sontuosa dimora. Di lui la testimonianza di una cacciatrice inglese di farfalle (a Palermo “perseguitata dagli uomini”), Margaret Fountaine, per dirla lady Butterfly, che visitò anche la Sicilia e Palermo nel 1896 e scrisse nel suo diario: «Non ho mai avuto un istante di noia, a Palermo […]. Il mio primo pensiero fu cercare il Signor Ragusa, un noto entomologo siciliano e poiché egli era il proprietario del Grand Hotel del Palmes, non persi tempo a cercarlo altrove». Si spingeva fino a Bocca di Falco «un villaggio sparpagliato e sporco dando la caccia alla Perusa». Ragusa era assai noto anche perché aveva fondato nel 1881 Il naturalista Siciliano. A lei che lo desiderava indicò ove trovare la Melanargia pherusa, endemico lepidottero di Sicilia, cioè sul Monte Cuccio allora sette o otto chilometri da Palermo (Il Naturalista Siciliano, S. IV, XXXVI (3), 2012, pp. 551-552). Domanda: quale destino è assegnato a questo straordinario capolavoro di Art Nouveau di Ernesto Basile? Che l’hotel fosse il richiamo dei turisti prestigiosi della Belle époque, è cosa troppo nota. Sarebbe pertanto ozioso stilare l’elenco degli artisti, di buona e di cattiva fama, dalla Cosima Listz e dallo stanco Richard che assordò un’ala con i suoi solfeggi del tenebroso Parsifal al “famigerato arbëreshë Crispi nelle sue spedizioni impopolari contro i contadini, giù fino al Lucky Luciano o al requisitore Amgot Charles Poletti, al summit dei due Mondi della Cupola di Cosa Nostra, tra tanti scrittori, attori, cantanti e uomini di spettacolo. Celebre per un pamphlet dell’iniziatore dei libricini di indagini poliziesche peregrine fu il caso dell’inventore surrealista della patafisica, trovato morto il 14 luglio 1933, un giorno di Festino, nella stanza n. 224. Si tratta dell’introvabile libretto sciasciano, il racconto-inchiesta Atti relativi alla morte di Raymond Roussel (Palermo 1971), oggi rivisitato da A. Fiasconaro con Morte d’autore a Palermo (Palermo 2013). Chi non conosce inoltre il mito della dorata prigionia del barone (o mafioso?) Giuseppe Di Stefano che nel 1998 dopo, si dice, quarant’anni trascorsi nella suite numero 24, con le piante esotiche del suo Roof garden, fece mostra dei suoi novantadue anni in quella suite, il volto coperto da una macabra maschera di cuoio? Per tanti altri gustosi aneddoti e per sorprendenti invenzioni di avventori ci sono i ricordi nostalgici del barman Toti Librizzi e le divertenti scorrerie di aneddoti di Gaetano Basile. Di quegli anni gloriosi della Palermo, veramente ed unicamente Felicissima, mi piace ricordare oltre all’appunto di Gioacchino Lanza, una notiziola ricavata dal mare magnum della rete che spesso e diciamo volentieri, anche con grande scialo e languore sentimentale, diventa la vetrina di ogni interiore pulsione, l’ostentazione di miriadi di biografie, nobili, alte e misere, che un tempo rimanevano coperte in impolverati diari che con tanta mestizia o stupore qualche discendente riesumava e sfogliava. Perciò, affascinato da una biografia che sa di polvere e di antico come il dagherrotipo che la accompagna a mo’ di rubrica, riporto un passo dalla Vita di Tommaso Di Maria, Marchese di Monterosato, scienziato e malacologo di fama internazionale, perciò tratta dalla rivista della Società Italiana di Malacologia (on line 2013): «Tommaso e Teresa di Monterosato vivevano a Palermo in via Ugdulena, ma sarebbe più esatto dire: avevano casa a Palermo, dal momento che si trovavano quasi sempre in viaggio e, anche rimanendo in città, spesso dimoravano all’Hotel des Palmes che poteva considerarsi la loro seconda casa. L’Hotel des Palmes, simbolo della Belle Epoque, era nato dalla vecchia Casa Patrizia degli Ingham Withaker costruita nel 1856; una casa all’inglese in stile coloniale, con un bellissimo parco intorno con ficus, ibiscus e palme. Un passaggio sotterraneo la collegava ad una chiesa anglicana vicina. Nel 1874 la vedova Ingham cedette la villa ad un operatore locale, Enrico Ragusa, che la trasformò in albergo; la sua Hall, grazie all’intervento, nel 1907, di Ernesto Basile, uno fra le maggiori espressioni del Liberty, è considerata ancora oggi, fra le più belle d’Europa. Negli anni l’Hotel des Palmes fu dimora di molti personaggi illustri, da Robert (sic!) Wagner che vi completò il suo Parsifal a Francesco Crispi, a V. Emanuele Orlando. L’Hotel era molto amato dai palermitani; vi si svolgevano i grandi balli di Carnevale, i Cenoni di fine d’anno, i matrimoni, ed era normale che la gente che contava vi pranzasse o ricevesse gli amici, avendo a disposizione parecchie salette riservate. I Monterosato si trasferivano in albergo per sfuggire al freddo del loro palazzo o per improvvise crisi del servizio (ossia insufficienza di servitù); il servizio comprendeva anche "l’equipaggio", cioè carrozza, cavallo e cocchiere. Teresa, la moglie del Marchese era una donna di vivace intelligenza e curiosità, almeno a giudicare dai suoi tanti libri di storia, letteratura e romanzi, quasi tutti in lingua francese». E infine, prima di morire il primo marzo del 1927: «È così che mi piace immaginarlo, anziché intristito e quasi prigioniero in un palazzo, che sarà stato anche splendido, ma che un giorno, si era in tempo di guerra, e per il freddo e la compagnia meno assidua, aveva addirittura chiamato "spelonca", andando a rifugiarsi nell’amato Hotel des Palmes».

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