L’odore degli altri
( Raimondo Augello)
Qualche settimana addietro in un articolo pubblicato su questo blog e su altre riviste on-line e cartacee, ci è capitato di occuparci del dramma sanitario legato all’interramento di parecchi milioni di rifiuti speciali nella cosiddetta “Terra dei fuochi” e allo scandalo del segreto di Stato tenuto per ben sedici anni sulle dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone inerenti a tali vicende. Il titolo di quell’articolo, volutamente provocatorio, era “Il Sud è sporco”, con un chiaro riferimento sarcastico a tutte quelle aziende del Nord che hanno concorso a determinare il disastro campano e ad un certo vezzo diffuso a considerare “geneticamente” sporco il nostro Meridione. A tal punto che non è cosa affatto rara al Nord, anche da parte di persone dotate delle migliori intenzioni, sentire parlare di Napoli o del Sud focalizzando in modo quasi esclusivo la propria attenzione su questo aspetto e su quei disservizi (in molti casi purtroppo reali) che affliggono le grandi città (Napoli e Palermo, come è ovvio in primo luogo) e che renderebbero a loro dire poco gradevole l’eventualità di vivere in quei luoghi. Così, qualche giorno fa, da un amabile conversare avuto con certi miei amici di Milano su questi argomenti, mi sono venute in mente alcune riflessioni che ho deciso di mettere per iscritto.
Lungi dal volere indagare le ragioni storiche, sociali ed economiche che hanno portato il nostro Sud alla caduta diffusa del livello di vita civile, immondizia inclusa, cosa che richiederebbe tempi diversi, mi è parso opportuno in questa sede chiedermi che cosa possa concorrere a rendere “vivibile” una città, quali siano quei parametri che, fatta salva la libertà di scelta soggettiva, concorrano a rendere desiderabile l’idea di vivere in un posto piuttosto che in un altro; se, in altre parole, possa essere universalmente accettabile il criterio puramente “economico” adottato da Il Sole 24 ore che ogni anno crocifigge sistematicamente le province meridionali agli ultimi posti della graduatoria (un po’ come sparare sulla Croce Rossa, e farlo ripetutamente!) o se esiste anche una prospettiva diversa di affrontare il problema. Si potrebbe obiettare che anche la presenza del mare, o di un clima mite o di un cielo terso e luminoso per buona parte dell’anno, rappresentano degli elementi tali da determinare la “vivibilità” di un luogo piuttosto che di un altro, ma di questo le statistiche de Il Sole 24 ore e il giudizio di tante persone paiono non tenere conto. Mi viene in mente la confidenza fattami qualche tempo fa da un conoscente trasferitosi da tempo dalla Sicilia nell’hinterland milanese al quale creava disagio la mancanza di “quei bei nuvoloni che corrono veloci in cielo spinti dal vento” raramente presenti nel grigio e uniforme cielo padano. Ma le sensazioni di questo signore non fanno naturalmente statistica. Ciò che tuttavia qui mi preme di più sottolineare è un altro aspetto della faccenda. Una città non è un puro aggregato urbanistico, ma una città è anche e soprattutto un’entità capace di parlare allo spirito, e per far ciò non ci sono efficientismi reali o maniacalmente ostentati che possano sopperire. Perché una città è come un essere vivente, che per quante rughe o sfregi il suo corpo mostri, deve essere capace di raccontarci una storia, di rivelarci un’anima, senza di cui il suo aspetto esteriore ce lo fa rassomigliare a certi manichini, privi di memoria, privi di parola. E in questo senso Napoli, con la sua storia, con il suo teatro, con la sua arte, è una delle pochissime città al mondo capaci di parlare allo spirito umano con un messaggio universale, come giustamente è stato scritto da un antropologo qualche tempo fa, il quale aggiunge che al mondo saranno soltanto cinque o sei le città che sono state in grado di fare ciò. Volevo concludere con un ricordo. Non me ne vogliano i miei amici milanesi, ma per par condicio bisogna potere parlare di tutto e di tutti; e poi, come si suole dire, in questo caso relata refero, riferisco cose riferite da altri, ove per altri si intende l’ illustre soggetto di cui diremo. Qualche anno addietro mi è capitato di partecipare ad un incontro con il compianto Vincenzo Consolo tenutosi all’istituto Gonzaga di Palermo. Ebbene, lo scrittore siciliano, trapiantato ormai da parecchi anni a Milano, rivolgendosi agli studenti presenti li ha esortati a considerarsi non inferiori ai loro coetanei del Nord, ma fortunati per il fatto di vivere in una città ricca di monumenti capaci di parlare allo spirito; quegli studenti che, al dire dello scrittore, non avevano consapevolezza di cosa significasse vivere nello “squallore di un hinterland come quello milanese, pari a quello della periferia di qualsiasi altra area metropolitana ”, in cui (cito ancora testualmente) “in posti come Sesto S.Giovanni o Cinisello Balsamo è possibile fare interi chilometri senza incontrare nemmeno l’ombra di un monumento che si rivolga all’anima del passante e del cittadino e che lo esorti, lo formi”. Ma anche in questo caso, si dirà, siamo fuori dagli indicatori del Sole 24 ore. La verità è che forse, come suggerisce un vecchio adagio popolare, ciascuno non avverte l’odore che ha addosso e dunque se ormai noi quasi non facciamo più caso alla nostra immondizia, ai nostri disservizi (veri o presunti) ai mille difetti delle nostre città, altri magari, paghi del proprio efficientismo (vero o presunto) ritengono trascurabile il fatto di doversi muovere sotto un cielo grigio fra grigi e anonimi palazzi che non hanno nulla da raccontare allo spirito di chi li osserva. Sarà così: il mondo è bello in quanto vario. L’importante è non arrivare ad avere la presunzione di avvertire solo l’odore degli altri.