LA TRAVIATA
( Salvatore Aiello)
Il Massimo di Palermo ha concluso le celebrazioni verdiane con La Traviata, opera insigne della trilogia romantica, non a caso Marcel Proust sosteneva: “La traviata mi piace. E’ un’opera che va all’anima…… Verdi ha dato alla Dame aux camelias lo stile che le mancava. Dico questo non perché mi sembri trascurabile il dramma di Alexandre Dumas figlio, ma perché, quando un’opera drammatica tocca i sentimenti popolari, ha bisogno di musica”. Con questo titolo popolarità e successo sono assicurati ma ha bisogno anche di proposte in “regola”. La messa in scena di Chantal Thomas c’è sembrata, una scelta infelice poiché oltre a non tenere conto debitamente della società e del mondo (epoca di Luigi Filippo) in cui si accampa la vicenda ne tradiva l’animus non giovando nè alla musica né ai cantanti impegnati e distratti, continuamente, in un gioco di sali e scendi da quelle anonime, grigie pedane che invadevano ammucchiate su un palcoscenico in cui si consumava la storia di amore e morte di una delle creature più vicine al cuore del compositore che la riteneva una “povera peccatrice”. Inoltre la regia di Laurent Pelly, ripresa da Anna Maria Bruzzese, ci ha lasciati delusi nelle aspettative e perplessi per molte ingenuità e gratuiti ammiccamenti erotici .
Procedeva in flashback, durante le note del preludio, col corteo funebre per la tumulazione, nel cimitero di Montmartre, della infelice fanciulla per poi rappresentarci quel destino di amore e morte che attanaglia la protagonista che animata da una sfrenata volontà di vivere si abbandona ad un erotismo incontrollato proprio dei tisici. Scoprirà così l’amore, scegliendolo e rivelando in se stessa una verità e una purezza che la porterà al sacrificio e a slanci generosi vanificati dalla fine prematura. Nello spettacolo minimalista di cifra contemporanea, agiva Desirèe Rancatore che si è distinta fra tutti per la sua interpretazione e per il suo canto, disegnando un personaggio a tutto tondo, lucida e determinata, pronta a sfidare con le estreme forze l’inesorabile destino. Sappiamo, per tradizione che l’opera richiederebbe ben tre soprani, come si suol dire, per l’impegno notevole e diverso della scrittura musicale ma la cantatrice ha saputo gestire l’anima di Violetta in tutte le sue pieghe trovando una voce per ogni situazione, una vocalità che si è irrobustita e che ci ha sentitamente commossi e convinti soprattutto nel terzo atto per le messe di voci tenere, e all’occasione drammatiche, per gli archi di fiato sempre sostenuti e per il dominio scenico: morire sola, aggrappata ad un lenzuolo è stata la rappresentazione del deserto dell’anima in cui “la sventurata “ si è venuta a trovare amata da tutti e da nessuno perché, come sosteneva qualcuno,” quando si muore si muore soli”. L’Alfredo di Stefano Secco si faceva solo apprezzare per l’impegno di una voce prevalentemente lirica, tenacemente e cautamente sorvegliata che gli ha garantito in genere una linea stabile e coerente. Imponente il Germont di Vincenzo Taormina; austera figura di padre ottocentesco impegnato a difendere e testimoniare i valori borghesi della famiglia, con una voce nobile, un’emissione fluida, un buon dominio tecnico; la frequentazione del ruolo potrà assicurargli un fraseggio più sostanziato di autentiche espressioni sentimentali. Di buon spessore l’Annina di Valeria Tornatore qui sacrificata in un ruolo minore e con lei completavano il cast Patrizia Gentile (Flora Bervoix), Bruno Lazzaretti (Gastone di Letorieres), Giovanni Bellavia (Il barone Doupfol), Italo Proferisce (Il marchese D’Obigny), Manrico Signorini (Il dottor Grenvil), Marco Palmeri (Giuseppe), Riccardo Schirò (Un domestico). A Matteo Beltrami era affidata la direzione orchestrale vigile a non sovrastare mai le voci e a gestire con destrezza il rapporto tra l’orchestra e il palcoscenico con un’attenzione al suono e indirizzato a cogliere sonorità liriche nei momenti più teneri rinunciando a muscolose sonorità nei momenti più accesi ricordandosi che la partitura riecheggia in più parti l’ambito donizettiano. Senza sbavature il coro diretto da Piero Monti.Danzavano tra gli altri Monica Piazza e Giuseppe Bonanno primi ballerini ( coreografia ripresa da Giancarlo Stiscia). Pubblico diviso tra approvazioni totali per i cantanti assai meno per ciò che ci è toccato vedere.