Il ficodindia

( Pippo Sciortino)

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Il ficodindia è stato introdotto in Sicilia prima dagli Arabi (alcune specie dalle lunghe spine,) e dopo la scoperta dell’America dagli Spagnoli che lo hanno importato dal Messico, ove la Civiltà Azteca aveva creato un proprio culto per questo frutto, ma se ne è particolarmente apprezzata la virtù recentemente. Originariamente i frutti raccolti (sanguigni, surfarini, muscareddi) erano quelli spontanei o “latini” che maturano ad agosto. All’inizio dell’ottocento, per caso s’incominciarono a scoccolare i fichidindia, i cui frutti maturano ad ottobre. La “scozzolata” dei frutti primaticci si pratica nel periodo in cui ricade la festa di S. Giovanni (24 giugno) e trae origine dal paese di Capaci, dove un rivenditore, al diniego di vendita di un produttore, scapitozzò i frutti in piena fioritura. L’atto vandalico produsse effetti contrari e i frutti rinacquero in minor numero ma turgidi, con buccia fine e polpa serrata da potersi conservare per lungo tempo e consentirne il trasporto e la commercializzazione.

La sfrondatura fu sperimentata in seguito da un certo Vincenzo Ferrante di Bellolampo, che ottenne pari successi. La coltivazione razionale è da far risalire al 1819, infatti, nel maggio di quell’anno, a Ventimiglia di Sicilia (Calamigna), Francesco Fazio, di professione di agrimensore, col fine di eliminare i frutti superflui e migliorare i restanti, scozzolò parzialmente i fichidindia del suo podere. Il padre, Ignazio contrariato dall’operato del figlio, sfrondò i restanti frutti, ottenendo inaspettatamente una migliore qualità. Nel 1839, Francesco Fazio, tentò la “scozzolata” dei frutti residui, ottenendo frutti poveri di glucosio ma pregiatissimi; il figlio, Salvatore, in seguito sposò Giulia Avellone, appartenente a una famiglia di proprietari terrieri di Roccapalumba, ed introdusse in questo paese e soprattutto nella frazione di Regalgioffoli, le tecniche e le pratiche già sperimentate dal padre. Nel 1855, a Roccapalumba, grazie anche alle particolari caratteristiche favorevoli del clima e del suolo, già si coltivavano circa 25 ettari di ficheti d’india. Fin da quel periodo, i fichidindia più rinomati e apprezzati di Sicilia, sono stati quelli provenienti da “Calamigna” (Ventimiglia di Sicilia) e “Regalgioffoli” (Roccapalumba). Recentemente, grande produzione e commercializzazione di questo frutto, avviene anche a S. Margherita Belice (TP) e S. Cono (CT). Sia i cladodi (pale) che il frutto, sono utilizzati ultimamente in diverse cure dietetiche e in campo medico per diverse patologie, quali il trattamento del diabete e del colesterolo.  Con l’affermarsi della new-economy e la globalizzazione dei mercati, visto il decadimento e la scarsa redditività della coltivazione di grano, olio, mandorle, vino e allevamento, la scommessa per il futuro dell’economia di Roccapalumba non può che essere proiettata in un vasto movimento associativo dei produttori di questo frutto, associazionismo cui, tra l’altro, la storia di questo paese è particolarmente votata, infatti, recentemente due diversi sodalizi sono riusciti ad estendere la coltivazione a più di cento ettari, migliorando la qualità e con l’uso di macchine spazzolatrici, offrendo al mercato frutti senza spine. E’ indubbio che non ci si possa limitare a conferire i fichi d’india, anche se non più in cestoni (carteddi) ma in gabbiette, al mercato ortofrutticolo di Palermo e limitatamente al periodo di ottobre-novembre, ma con un’oculata programmazione della filiera, diversificando anticipatamente la potatura delle piante, la scozzolatura e l’irrigazione, al fine di garantire il prodotto da agosto a dicembre e consentendo una più vasta commercializzazione con le grandi catene di distribuzione e con le industrie di trasformazione.

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