DEGLI ZOMBI

( Gianfranco Romagnoli)

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I SIMPSON ZOMBIES

Chi nel lungo tempo della vita umana (cfr. Sofocle, Filottete) abbia avuto la ventura (o sventura?) di assistere fino in fondo (cosa rara), in qualità di spettatore, alla proiezione di almeno un film dell’orrore (o per meglio dire, un orrore di film), come ad esempio la pellicola “cult” La notte dei morti viventi di G. A. Romero (1968), si sarà quasi certamente imbattuto negli zombi, cadaveri rianimati che con la loro terrifica presenza dovrebbero dilettare il pubblico.  La parola zonbi (con la enne) è un termine creolo haitiano , legato ai locali riti occultistici vudù, che proviene dal bantù nzumbe. Omettendo di affrontare, per totale incompetenza, la questione di quale siano in tali lingue le forme singolare plurale di questo nome, è da rilevare che in inglese esso, per agevolarne la pronuncia, è stato recepito al singolare come zombie, da cui viene formato il plurale zombies. In Italiano il termine è stato recepito nella forma di zombi, che si affaccia per la prima volta nel maggio del 1973 in un volume mensile del fumetto Zagor: si tratta di un singolare o di un plurale? Pur se l’uso prevalente è di ritenerlo invariabile, nell’intento di dare un contributo semiserio, sul piano linguistico, all’approfondimento della questione, ho sviluppato le seguenti considerazioni.

 

Chi ha visto i film di cui parliamo, avrà notato che questi soggetti si presentano sempre come una minacciosa pluralità di individui, mentre non mi risulta che siano stati sinora presi in considerazione singolarmente (se non in rari film americani come Lo zombie innamorato, in cui il problema del singolare, come si è detto, non si pone). Pertanto, in italiano zombi è certamente un nome comune di persona (?) plurale, come – oltre al cennato dato empirico dell’id quod plerumque accidit – fa fede la desinenza in “i”.  Ne consegue che, qualora uno di questi esseri venga in considerazione singolarmente, lo si dovrà designare col termine zombo se di sesso maschile, o zomba se di sesso femminile: se invece parliamo di una pluralità di questi allegri individui formata esclusivamente da femmine, dovrà essere usata la forma zombe, mentre se il gruppo è “di sesso misto” (impagabile espressione tratta da un famoso verbale delle Forze dell’ordine) la forma giusta è il maschile plurale zombi, in applicazione dell’aurea regola sicula secondo la quale “l’uomo abbraccia la donna”.Dall’abbraccio, per l’appunto, tra uno zombo e una zomba possono nascere, a seconda del sesso, degli zombini o delle zombine. L’agire degli zombi (sia che si tratti di zombo, di zomba o di più zombi insieme) si indica con “zombare”, verbo regolare della prima coniugazione che suona: io zombo, tu zombi, egli zomba (pres. ind.); zombavo, zombavi, zombava (pass. pross.); zombai, zombasti, zombò (pass. rem.); zomberò, zomberai, zomberà (fut.), e via zombando. Il modo di indicare la singola azione dello zombo o zomba, o anche degli zombi al plurale, può dare luogo a qualche perplessità: infatti, pur se non è scorretto usare il termine “zombata”, esso suona poco elegante; scartando anche “zombaggine” (in analogia con “sbadataggine”), che è troppo assonante con “lombaggine”, propenderei per “zomberia” in analogia con altri termini come ladreria o ruberia (azione del ladro) o marioleria (azione del mariolo), senza voler offendere con questi riferimenti l’onorabilità “zombesca” (o zombica? Su quale sia la forma preferibile, si potrebbe aprire un forum). La condizione esistenziale (?) degli zombi mi sembra ben espressa dal termine “zombitudine” (per cui una nota canzone di qualche decennio addietro, in un più o meno tormentato idillio tra zombi, potrebbe essere declinata: “la mia zombitudine sei tu”).

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