WELLBER E MELNIKOV PER IL MASSIMO DI PALERMO
(Salvatore Aiello)
Si è riavviata la stagione sinfonica del Massimo di Palermo con un concerto ben impaginato dedicato a due dei più grandi musicisti russi Prokof’ev e Cajkosvkij. Il compito di eseguire: The white swan and The wave, brani nati dalla collaborazione tra Prokof’ev e il famoso poeta simbolista decadente russo Konstantin Bal’mont , ha visto protagonista il coro femminile ben istruito da Piero Monti , che si è destreggiato con una buona tenuta e una linea sonora piuttosto amalgamata. Ma l’attesa degli ascoltatori puntava sul Concerto op.23 di Cajkovkij ed.1888 opera popolare nel senso più alto,dagli esordi altalenanti ,riabilitato da Hans von Bulow: “ Le idee sono così originali, così nobili,così forti,i dettagli sono talmente interessanti e ve n’è una tale ricchezza e con tutto ciò essi non vengono a minacciare la chiarezza e l’unità del lavoro. La forma è talmente matura,perfetta,raffinata come stile,l’intenzione e il lavoro essendo ovunque dissimulati…”
A reggere i rapporti conflittuali ma paritari del piano e dell’orchestra c’erano il giovane pianista moscovita, assai valido, Alexander Melnikov e l’apprezzato direttore Omer Meir Wellber. Il duello ha visto vincitori entrambi, potenza e varietà di colori erano la cifra esaltante di un’orchestra dalle tinte malinconiche ed dagli impetuosi ripiegamenti tesi a consegnare la temperie di una musica eclettica tra occidentalismo e recuperi nazionali. Solida tecnica,virtuosismo, sensibilità,voluttà, autorevolezza, abbandoni elegiaci, voglia di mescolare i colori del piano con l’orchestra, caratterizzavano l’impegno di Melnikov giustamente applaudito con ovazione finale. Alla Patetica era dedicata la seconda parte della serata; ultimo testamento dell’infelice compositore che morrà a pochi giorni dopo la prima esecuzione, documenta il suo triste commiato dalla vita. Wellber ha caricato animosamente l’orchestra dando ulteriore prova della sua duttilità d’interprete capace di coinvolgimenti e di rendere le tinte fosche e drammatiche di una partitura intessuta di dolore che trovava il suo acme nel finale terribile, quasi un requiem per l’imminenza della fine, siglato dal pianissimo dell’adagio lamentoso. Successo pieno di pubblico.