Daniele Schmiedt a Palazzo S. Elia
(Carmelo Fucarino)
Anna Maria Ruta è ormai una presenza costante ed indiscutibilmente esperta nelle operazioni di rilettura e di divulgazione dell’arte dell’ultimo Novecento dalle prime sue esperienze, prima letterarie sul Liberty e sul Futurismo e poi espositive a cominciare da quella storica su Aeropittori e futuristi. Le mostre ormai si susseguono a ritmo costante e talvolta con più interventi annuali. Dopo la magistrale e memorabile carrellata sulle pittrici siciliane all’Albergo delle povere, una antologia esauriente e prima in assoluto sull’attività pittorica siciliana, oggi presenta a Palermo un autore poliedrico che è quasi sconosciuto al di fuori degli addetti ai lavori e della cerchia dei simpatizzanti, anche e forse perché pur di origini palermitane, operò prevalentemente a Messina. Daniele Schmiedt nacque infatti a Palermo il 16 gennaio 1888, ma dopo l’apprendistato formativo alla Scuola d’arte e all’Accademia di Belle Arti sotto la guida del gigante dell’arte siciliana di fine Ottocento il maestro Francesco Lojacono, passò a Messina come insegnante alla cattedra di Disegno presso la Scuola Tecnica “T.A. Juvara”, cambiando completamente vita e contatti culturali.
Nella città dello Stretto opererà e sarà noto per la sua attività di pittore e scultore fino alla sua morte nel 1954. La retrospettiva, curata da Anna Maria Rura e da Gioacchino Barbera, dal titolo emblematico “Un artista siciliano nel Novecento”, nasce perciò come mostra messinese e alla locale Camera di Commercio è stata inaugurata ed aperta dal 16 novembre 2012 al 6 gennaio 2013 nell’ambito di Il circuito del Mito. Ora è approdata a Palermo nelle splendide sale del primo piano di Palazzo S. Elia. L’antologica che si divide in tre sezioni, la pittura vera e propria, i bozzetti e i bronzi, ripercorre l’intero traiettoria artistica con quasi tutta la sua produzione. Essa documenta lo sviluppo dell’arte dell’epoca attraverso tutte le esperienze significative delle quali sa cogliere riverberi e allusioni, con qualche sua personale interpretazione fino agli anni della sua morte nel 1954. Perciò è un percorso storico dell’arte italiana soprattutto attraverso gli anni del fascismo, le acerbe letture veristiche, la metapittura che richiama Casorati e Sironi, il segno lombardo metallico, fino a giungere alle infatuazioni metafisiche e all’espressionismo con scorci che richiamano Renoir. Accanto alla figura umana drammaticamente torturata e spesso oscenamente deformata, quei grotteschi e cupi nudi di donne, quei volti agghiaccianti di bambini, le architetture rese con i colori foschi e oscuri della fatica del lavoro, quei paesaggi squadrati e pur essi drammatici della città con il suo porto geometrico, le tristi case della periferia, la drammatica solitudine di edifici ed esseri umani. I suoi lavoratori nerboruti rispondono alla maschia baldanza del fascismo imperante e nulla hanno a che spartire con il tragico Donnarumma all’assalto di Ottiero Ottieri, non per nulla censurato nel 1959 dallo stesso Innocenti dell’Olivetti, liberale e socialmente aperta. I bozzetti documentano il tipico impegno del regime nell’espletamento di opere pubbliche con i decori a tempera, intorno al 1928, di alcune sale del Palazzo di Giustizia di Messina, edifici in serie che popolarono le città d’Italia in quella parata di finto amore per la Signora dalla Bilancia. Sulla stessa linea nel 1942 gli affreschi della Sala Consiliare di Palazzo Zanca e nell’immediato dopoguerra nel 1947 la particolare lettura personale su frammenti superstiti del soffitto ligneo del Duomo di Messina, appena distrutto nel 1943 dai bombardamenti. I bronzi richiamano con la forza rude della nera lega e le imperfezioni di assetto, soprattutto nelle figure degli animali, certo realismo dell’ultimo fascismo. Di questo espresse le tendenze artistiche e ne visse le esperienze, a cominciare nel 1922-23 con l’Esposizione “Amatori e Cultori” a Roma, attraverso le mostre dei sindacati degli artisti, la Mostra Nazionale Sindacato Belle Arti Fascista a Firenze nel 1933 e quella regionale a Palermo del 1938. In ambito pubblico nel 1929 con la tecnica delle tempere grasse dipinse a Vibo Valentia le aule della Pretura, del Tribunale e delle Assisi del palazzo di Giustizia e una Sacra Famiglia nella cappella Laganà della chiesa di S. Caterina a Reggio Calabria. Precedono questa altre tre retrospettive, una nel 1955 da parte del Sindacato Regionale Siciliano delle Belle Arti, un’altra della Quadriennale di Roma nel 1956 e la più recente nel 1960 alla Galleria d’Arte della Provincia di Trapani.
Catalogo: Daniele Schmiedt. Un artista siciliano del Novecento, a cura di A.M. Ruta e G. Barbera, editore EDAS di Messina.