LA ARGENTINA: UN POEMA SUL PERIODO COLONIALE

( Gianfranco Romagnoli)

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Scoperto nel 1502 da Amerigo Vespucci, il territorio dell’attuale Argentina fu esporato nel 1516 da Juan Diaz de Solis. Nel 1524 Carlo V, accogliendo la richiesta di Pedo de Mendoza di esplorare il Sudamerica a proprie spese stabilendovi delle colonie, lo nominò adelantado governatore, capitano generale e capo della giustizia della Nuova  Andalusia. Gli sforzi di Mendoza si indirizzarono sul territorio del Rio de La Plata dove fondò per la prima volta nel 1536, col nome di Ciudad del Espíritu Santo y Puerto Santa María del Buen Ayre, la città di Buenos Aires (che, distrutta dai nativi, sarebbe poi stata rifondata nel 1580 da Juan de Garay col nome di Ciudad de la Santísima Trinidad y Puerto de Nuestra Señora de los Buenos Aires). Nel 1572 il Vicerè del Perù inviò una spedizione al comando di Juan Ortiz de Zárate per esplorare e colonizzare il Rio de la Plata. Della spedizione faceva parte il sacerdote Martín del Barco Centenera, proveniente dall’Estremadura, autore del poema di ventisei canti in ottave reali La Argentina, terminato nel 1601 e pubblicato postumo l’anno successivo a Lisbona.

L’opera si inquadra tra i tanti poemi ispirati a quelli ariosteschi (in genere però di scarso valore con l’eccezione dell’archetipico La Araucana di Alonso de Ercilla), che, nello spirito nazionalistico ed apologetico promosso da Carlo V, spinsero tanti scrittori a cantare la conquista del Nuovo Mondo: tra questi ricordiamo Pedro de Oña con Arauco domado, sempre sul Cile. L’importanza del poema di Centenera non sta tanto nel suo valore poetico, negato pressocchè unanimemente dalla critica, quanto nell’ avere usato per la prima volta il nome Argentina riguardo a queste terre e, soprattutto, nel costituire una testimonianza diretta di un periodo sul quale la documentazione storica è scarsa, quando non del tutto inesistente. Certamente il poema La Argentina, nonostante la presenza di alcuni bei passi, non regge il confronto con La Araucana di Ercilla, perché mentre quest’ultimo, pur non seguendo i canoni classici del poema epico, sa cogliere le opportunità poetiche offerte dallo scenario del Nuovo Mondo facendosi ispirato cantore delle virtù e dell’eroismo dei nativi, l’atteggiamento di Centenera è quello del religioso, che nell’Indio non sa vedere altro che il feroce selvaggio pagano, schiavo di Satana. Nell’ottica di un poema descrittivo e storicamente documentario, come lo si può classificare, La Argentina ha un notevole valore, anche perché nella minuziosità con cui descrive i dettagli, non tace dei fatti negativi e delle responsabilità dei capi, che vengono nascosti dalla storiografia ufficiale: tra questi le tempeste mal affrontate da inesperti nocchieri, le carenze nel comando e, soprattutto, la fame feroce che, arrivati a terra dapprima in Brasile nell’isola di Catalina e, poi, definitivamente alla foce del Rio de La Plata, dovettero patire i partecipanti alla spedizione, uomini, donne e bambini: fame che causò ogni sorta di reati, furti, violenze e diserzione, e la morte di molti, tra i trecentocinquanta lì abbandonati da Zárate che, con ottanta uomini, si era trasferito in zona più prospera. Il poema inizia, come quello di Ercilla, con la descrizione geografica e naturalistica (non sempre, quest’ultima, esatta) del territorio rioplatense e delle sue meraviglie; prosegue con notizie importanti, di cui è unica fonte, sul governo di Zarate e del suo successore Mendieta, stabilitisi a Santa Fe, e sulla nuova fondazione di Buenos Aires da parte di Juan de Garay. Prosegue poi spostandosi in Perù, dove l’autore, nominato Arcidiacono, partecipò al terzo Concilio di Lima (1582-1583) convocato nello spirito della Controriforma tridentina, mettendo in luce i poco edificanti contrasti che lo accompagnarono, la sistematica violazione da parete delle dame della capitale del divieto di andare in giro velate e la fame e i tumulti provocati dall’enorme afflusso in città di gente dalle più disparate opinioni. Importanti sono anche i descritti incontri con personaggi famosi quali il nominato Garay e, prima, con l’apostolo del Brasile José Anquieta. Le parti poeticamente più felici di quest’opera sono quelle che narrano storie di amore, sia tra spagnoli che tra indigeni. In effetti, al fascino del sesso femminile non doveva essere insensibile il nostro autore, il quale, forse anche per difendersi dall’accusa di misoginia che traspare in alcuni passi, dedica “alle belle dame” un canto del poema, si diffonde altrove nella descrizione della bellezza e virtù di molte di esse (ignorando però del tutto, come è stato malignamente osservato, la contemporanea crescente fama di santità di Rosa da Lima) e descrive un combattimento tra due donne indigene nude a difesa, rispettivamente, delle differenti opinioni espresse in un convegno dai compiaciuti mariti. In conclusione: un poema degno di nota, nonostante le molte critiche che ha raccolto, anche perché rende ragione della pluralità di genti indigene che, oltre ai Mapuches, popolavano l’Argentina e specialmente, nella zona riolplatense, delle varie tribù di etnia guaraní (della cui lingua il compagno di viaggio di Centenera, Fray Luis Bolanos, compilerà il primo dizionario), con le quali i coloni ebbero a convivere o, più spesso, a scontrarsi con esiti tutt’altro scontati nonostante la superiorità dell’armamento spagnolo.

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