A proposito di PALERMO 2019. Flash n.1
(Carmelo Fucarino)
In questi giorni non c’è palermitano di media cultura che non discetta sul famoso e finora ignorato passo dell’Italienische Reise di Goethe in cui un bottegaio ironizzava sull’immondizia di Palermo. E si capisce che il commento fa andare in solluchero, perché l’immondizia è il tema di disgusto quotidiano del palermitano, politicizzato e non. Così può esercitare la sua genetica sfiducia nei governanti, Orlando come Cammarata. A parte che non si fa un’analisi storica della débâcle odierna, si ricorre a parallelismi anacronistici e superficiali. È vero, ci fu una folata di vento il pomeriggio del 5 aprile 1787 e si sa che un po’ di tutto volò per aria e si infiltrò in ogni finestra dei negozi del Cassaro. Perciò la reazione sconcertata di her Wolfgang che stava curiosando davanti ad un negozio e confrontava l’arteria di lusso palermitana con la romana via del Corso, ove ognuno puliva davanti al proprio negozio. Perciò al suo orripilato “Bei allen Heiligen!”, “ Per tutti i Santi”, il solito bottegaio disfattista, “allegra sua conoscenza”, se la prese con i governanti. Come oggi la colpa della cartaccia ed altro (allora non c’erano le chicle sotto le suole) per le strade è dell’Orlando di turno.
È il commerciante tipico del Cassaro che oggi direbbe come allora: Es ist bei uns nun einmal, wie es ist, per dire che «Da noi le cose sono come sono. Tutto ciò che gettiamo fuori dalla casa (wir, “noi”, si noti la confessione, allora come oggi) marcisce ammucchiato davanti alla porta. Ci sono qui paglia e canne, rifiuti di cucina e ogni sorta d’immondizia. Tutto questo insieme si dissecca e ritorna a noi in polvere contro la quale ci difendiamo tutto il giorno» (mi pare di sentire nel naso e negli occhi le cacche liofilizzate dei cari fedelissimi ed intoccabili). E alla ripetuta domanda del poeta con la magistrale ironia palermitana, spiegava che, «togliendo quello strato d’immondizie, si vedrebbe come il lastricato è ridotto in cattivo stato e ciò svelerebbe la disonestà». E più a fondo «Mantengono questo strato morbido per le loro carrozze onde far comodamente la loro passeggiata». Goethe dovette riconoscere il «senso dell’umorismo», immer Humor (W. Goethe, Italienische Reise, II, Lepzig 1914, p. 249). Naturalmente si omette che Goethe, giunto a Palermo il lunedì 2 Aprile 1787 alle tre del pomeriggio, nonostante la traversata burrascosa ebbe il coraggio di dire che gli si presentò “il “più ridente dei panorami”. Andò ad alloggiare a due passi da porta Felice a Palazzo Butera, nella stupenda, culturalmente eccelsa Palermo di don Francesco d’Aquino, principe di Caramanico. E nessuno si sofferma a considerare la definizione della Sicilia, in anni in cui non esisteva l’idea di Italia, se non come il dantesco giardino dell’Impero, in quella fine del Settecento, quando la penisola era divisa in una quindicina di stati e staterelli. Scrisse: Italien ohne Sizilien macht gar kein Bild in der Seele: hier ist erst der Sclüssel zu allem (Goethe, op. cit., p. 266, 13 aprile) che sarebbe «L’Italia senza la Sicilia non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto». Non è un qualunque Sciascia. Fidatevi di un vero tedesco, grande umanista e grande romantico, e non di un tedesco italiano, che la conosce per preconcetti.
J.H.W. Tischbein, Goethe in der Campagna
A parte quella sublime Mignon:
Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn,
Im dunklen Laub die Goldorangen glühn,
Ein sanfter Wind vom blauen Himmel weht,
Die Myrte still und hoch der Lorbeer steht,
Kennst du es wohl?
Dahin! Dahin
Möcht ich mit dir, o mein Geliebter, ziehn!
Per dire:
«Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Nel verde fogliame splendono arance d’oro
Un vento lieve spira dal cielo azzurro
Tranquillo è il mirto, sereno l’alloro
Lo conosci tu bene?
Laggiù, laggiù
Vorrei con te, o mio amato, andare!».
Naturalmente si riferiva all’Italia. Ma a quale Italia? Non certo a quella identica alla sua Weimar (oggi Patrimonio dell’Umanità). Così scriveva a scanso di equivoci: Wie sie uns empfangen hat, habe ich keine Worte auszudrücken, cioè «Com’essa ci abbia accolti, non ho parole bastanti a dirlo: con fresche verzure di gelsi, oleandri sempre verdi, spalliere di limoni, ecc. In un giardino pubblico c’erano grandi aiuole di ranuncoli e di anemoni. L’aria era mite, tiepida, profumata, il vento molle. Dietro un promontorio si vedeva sorgere la luna che si specchiava nel mare» (Goethe, op. cit., p. 244, 3 aprile). Per ora basta e alla prossima puntata, con l’invito a leggere Goethe e il suo straordinario reportage.