Cosa si muove nel campo del dialetto siciliano?
( Pippo Pappalardo)
Natura morta di Pippo Pappalardo
Nei numeri precedenti del «Vesprino» ho evidenziato la mia preoccupazione che il dialetto siciliano, a causa di pregiudizi che stentano a spegnersi, possa fare la stessa fine di quel latino da cui esso discende. Non penso di dire qualcosa di nuovo se ribadisco che questo linguaggio sta perdendo il suo ruolo di «prima lingua». Il fenomeno interessa le classi sociali in maniera trasversale: il dialetto è considerato un linguaggio popolare, un handicap da cui tenere lontana la prole (sic!). Si verifica così che, per un numero sempre crescente di giovani, l’uso del dialetto non rappresenta più un legame con la fanciullezza, con la cosiddetta «età felice» dell’uomo. E tutto ciò non sarebbe oggetto delle mie preoccupazioni se il dialetto non fosse un elemento caratterizzante il profilo identitario di una comunità e se queste snobistiche forme di rifiuto trovassero riscontro in altre regioni d’Italia o in altri Paesi europei. Il che non accade.
Non si può disconoscere – l’ho rilevato nei precedenti articoli – che la scrittura del dialetto siciliano presenta qualche problema sia perché non ci sono regole ortografiche e morfosintattiche condivise sia perché esistono discordanze di fondo fra un vocabolario e l’altro. I vocabolari di Traina e Mortillaro, vecchi di 150 anni, si basano sul criterio etimologico tradizionale. Il VS, un vocabolario modernissimo, sotto il profilo ortografico risente di un’impostazione più «fonetica». Ciò lascia spazi aperti al dibattito fra gli studiosi e aumenta i dubbi degli autori dialettali. Per questo si sente la necessità di un Ente dotato di autorevolezza che definisca le linee-guida dell’ortografia dialettale. Bisogna che qualcuno dica se sia più opportuno seguire il criterio etimologico, e soddisfare la tradizione, o il criterio fonetico, e riprodurre fedelmente la fonia nella grafia. L’autorevolezza è una condizione necessaria, anche se non sufficiente, a garantire la condivisione delle regole. Inoltre sarebbe auspicabile che il VS venisse rivisitato per includere i sinonimi e le coniugazioni dei principali verbi. Infine necessiterebbe un’edizione concisa rispetto ai 5 volumi di cui il VS è composto. Sono proposte che, se accolte, possono contribuire in maniera determinante a salvare il sicilianu dall’oblio in cui esso rischia di precipitare. Cosa si muove in questo mare di problematiche e di incertezze? Si muove l’Università e si muove il CSFLS (Centro di studi filologici e linguistici siciliani) sull’onda di un provvedimento legislativo provvidenziale: la legge regionale n. 9 del 31 maggio 2011 «Norme sulla promozione, valorizzazione ed insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole». Non v’è dubbio che il CSFLS è stato sempre attivo sul versante dialettale; prova ne sono i risultati ottenuti dall’ALS (Atlante Linguistico della Sicilia), dall’Arca dei suoni e da altre strutture che al CSFLS fanno capo. Oggi però c’è una novità rispetto al passato: si è finalmente deciso di coinvolgere gli insegnanti scolastici in un percorso di formazione diretto a far conoscere la storia linguistica, la cultura e le tradizioni della nostra Isola. Infatti, nei mesi da Febbraio a Giugno 2013, si è svolto a Palermo presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università un Corso di Formazione avente come titolo: «La Sicilia linguistica e letteraria – Percorsi didattici». Il corso, coordinato dal prof. Giovanni Ruffino e dalla prof.ssa Marina Castiglione, si è articolato in 10 seminari settimanali. Hanno parlato i docenti Luisa Amenta, Sergio Bonanzinga, Laura Bonura, Michele Burgio, Ignazio E. Buttitta, Mari D’Agostino, Salvatore Di Marco, Donatella La Monaca, Vito Matranga, Giuseppe Paternostro, Domenica Perrone, Vincenzo Pinello, Giuliano Rizzo, Roberto Sottile; un fior fiore di linguisti e di esperti di letteratura che si sono rivolti a un consistente pubblico di insegnanti e di appassionati del dialetto per trattare i temi seguenti:
– aspetti legislativi, didattici e sociali del patrimonio linguistico siciliano;
– storia linguistica della Sicilia;
– atteggiamenti, pregiudizi e stereotipi nei confronti del sicilianu;
– cultura popolare;
– tradizioni orali;
– onomastica;
– letteratura siciliana;
– trascrizione del parlato.
Un analogo ciclo di seminari si è tenuto, a partire da Maggio ’13, presso l’Università di Catania con il coordinamento del prof. Salvatore Trovato, curatore del IV e V volume del VS. Si comprende bene come attività di questo genere siano preziose per la salvaguardia del dialetto siciliano. Esse infatti, anche se inizialmente rivolte agli insegnanti, si diffonderanno fra gli studenti e produrranno una reazione a catena che coinvolgerà ampi strati della società siciliana. Oltretutto la Scuola perderà quei connotati di istituzione ostile al dialetto, di luogo di scontro fra una «malerba dialettale» da estirpare e una lingua italiana da coltivare. La Scuola potrà invece diventare un luogo d’incontro fra una lingua nazionale, consolidata nella sua funzione di lingua unificata, e un dialetto da considerare come lo scrigno in cui sono custodite storia e tradizioni della nostra Isola. Trascorsi i tempi in cui gli insegnanti vivevano l’ansia che il dialetto ostacolasse l’apprendimento dell’italiano, oggi il sicilianu può tornare utile anche per far capire ai ragazzi l’origine di certi loro errori ortografici. I ragazzi potranno rendersi conto da cosa derivano errori quali il raddoppiamento consonantico (sùbbito, intelliggente, etc.), l’uso dell’ausiliare «avere» con i verbi di movimento (ho andato a scuola, etc.), l’uso di parole deformate (palore, poblema, etc.). È evidente che non è questo il motivo principale per cui è utile parlare di linguistica siciliana a scuola. E dico: parlare «di» siciliano, non parlare «in» siciliano! Il motivo fondamentale è invece che bisogna trasmettere ai nostri giovani il concetto che il sicilianu è l’idioma utilizzato da poeti come Jacopo da Lentini, Antonio Veneziano, Domenico Tempio, Nino Martoglio, Ignazio Buttitta, Alessio Di Giovanni, etc. o da scrittori come Giovanni Verga, Andrea Camilleri, etc. Insomma, bisogna far capire ai giovani che il dialetto è il mezzo espressivo della letteratura della loro terra. In questo modo i giovani comprenderanno le ragioni per cui il dialetto siciliano deve continuare a vivere, così come continuano a vivere il romanesco, il sardo, il napoletano e altri dialetti dell’Italia unita.
Pur nell’apprezzamento dei contenuti e della forma dell’articolo, non posso esimermi dallo specificare che ‘Arca dei Suoni’, archivio multimediale interattivo per la salvaguardia dei beni culturali intangibili della Sicilia, non rientra fra i numerosi e meritori prodotti del CSFLS.
Esso è infatti realizzato e gestito dalla U.O. VIII del CRICD della Regione Siciliana e promosso dal Dipartimento per i Beni Culturali della Regione Siciliana – peraltro sponsor della maggior parte dei migliori progetti nel campo degli studi linguistici e antropologici condotti dalle più qualificate istituzioni scientifiche e culturali della nostra Isola.