GISELLE
( Salvatore Aiello)
Theophile Gautier così si esprimeva nei suoi Ecrits sur la dance : “A partire dalla Silfide non furono più possibili spettacoli mitologici e fu lasciato spazio a gnomi, ondine, elfi, villi e a tutto quel popolo strano e misterioso che si presta così bene alle fantasie del balletto……. agli scenografi furono ordinate foreste romantiche, valli rischiarate da chiari di luna graziosi come nelle ballate di Heine”. Infatti, da una lettura di un’antica leggenda del poeta tedesco, nacque l’ispirazione di Giselle la cui tematica principale aderisce alla saga nordica delle Villi, spiriti di giovani donne uccise dal dolore alla vigilia delle nozze.
Al Massimo di Palermo, Giselle è tornato in scena con il balletto Yacobson di San Pietroburgo e il corpo di ballo della Fondazione in collaborazione con l’ATER, in una versione rispettosa dell’originale il cui successo duraturo vive e si sostanzia di tre elementi particolari: musica, danza, azione. A rendere giustizia alla musica colta di Adam, sin dalla Introduzione, a capo dell’orchestra duttile e partecipe ci ha pensato Benjamin Pionnier disposto a ricreare quell’idea che animò Camille Saint-Saens : “Adam ha fatto delle vere arie di danza”, e impegnato a cogliere dello spartito piacevolezza, piglio fantastico, recuperi rurali nei colori del primo atto per poi definire e delineare il clima e il cielo di dolore che intesse la seconda parte. Commedia e tragedia sono i due piani del balletto che vivono di quell’allure romantico che è la tensione da parte degli umani di desiderare qualcosa di diverso. Bene assortita ed amalgamata la compagnia: degni di nota risultavano, nel primo atto, per adesione e slancio, Andrej Gudyma (Hans), mentre Simona Filippone (Bertha) delineava il ritratto di una madre tenera, preoccupata per la carente salute della figlia ma soprattutto presaga dell’amaro destino che l’avrebbe attesa.Alla Bocarova e Artem Pyhacov ci hanno particolarmente convinti per l’interpretazione, per la capacità di calarsi nella vicenda che se apparentemente ovvia li ha visti coinvolti in una danza contro la morte e dove nonostante tutto ad accamparsi era la forza dell’amore. Artem Pyhacov si imponeva con attenta gestualità, scioltezza e phisique du role rendendo plausibile il contrasto dell’amante infedele che troverà sincero pentimento e rimpianto per cui vedrà il suo riscatto alla luce del giorno. I due protagonisti inoltre, nella grande scena finale, si vestivano di grazia e di leggiadria; ormai appartenevano ad un mondo altro, vi alitava l’aspirazione all’incorporeo, al volo. Giselle morta d’amore, divenuta vila riusciva ancora a consumarsi per salvare l’amato, come Violetta, passava dalla gioia del vivere al precipizio del dolore e del disinganno raccontati con le Variazioni, tecnicamente agguerrite e perfette, per adesione al personaggio i cui tratti del viso ne incarnavano e disegnavano il male di vivere. Completavano il cast nel primo atto, con spigliata e vivace partecipazione Elena Cernova e Igor’ Leusin, impegnati in un attraente pas de deux; nel secondo, una vendicatrice e irrompente Anna Naumenko nel ruolo di Myrtha. Ben inserite nel contesto le ballerine del corpo di ballo del Teatro Massimo che si libravano da Villi, sembrando creature dell’aria che non rinunciavano ad esprimere l’irrequietezza dei loro spiriti e il disagio sentimentale fatto di gesti volatili, di respiri e di abbracci stralunati, dimidiate tra cielo e terra. A determinare il successo dello spettacolo la riproposta della coreografia originale di Coralli, di Perret e Petipa; le delicate, tradizionali scene, e gli eleganti costumi di Vjaceslav Okunev.