Il maggio della legalità e il filo trasparente che lega Falcone e Don Pino Puglisi

(Daniela Scimeca)

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Il mese di maggio uscente si potrebbe dedicare alla legalità per una strana coincidenza. La cerimonia di beatificazione di padre Puglisi dista solo pochi giorni dal ventunesimo anniversario della strage di Capaci. Giovanni Falcone e padre Pino Puglisi, operavano in due ambiti molto diversi tra loro, ma in fondo entrambi hanno cercato di contrastare un sistema e una mentalità malata, entrambi hanno combattuto per una maggiore giustizia, per i diritti e per la legalità, dunque in fondo avevano lo stesso sogno e gli stessi ideali. Più volte sia Falcone che padre Puglisi misero l’accento sulla necessità per ognuno di fare il proprio lavoro/dovere, magari con frasi diverse o con diversi esempi, ma dentro il senso delle parole vi era un’incredibile unità di intenti, anche se proveniva da due sfere distinte: l’una faceva capo alla spiritualità religiosa, l’altra alla giustizia della legge, ma entrambe convergevano nell’idea del bene sociale.

Le convergenze tra questi due uomini straordinari sono molte e possiamo ricordarne alcune ripercorrendo la vita di padre Pino, ad esempio il valore dell’istruzione e della formazione soprattutto in funzione di un capovolgimento di una certa mentalità. Padre Puglisi dava enorme valore all’istruzione, quando arrivò a Brancaccio cercò di togliere bambini e ragazzi dalla strada perché sapeva che altrimenti sarebbero diventati manovalanza mafiosa e creò il centro Padre Nostro in cui si tenevano corsi di alfabetizzazione e di formazione per i volontari che nel tempo divennero sempre più numerosi. Padre Pino, capì di doversi mettere in prima linea per dare l’esempio e avviò un dialogo con istituzioni e autorità civili e religiose, in alcuni casi fu aiutato, in altri contrastato, proprio come Falcone, e proprio come lui, non si arrese dando esempio di perseveranza e coerenza. Padre Puglisi fece sempre ciò che riteneva suo dovere, lavorò con umiltà, fu vicino ai suoi parrocchiani, soprattutto quelli che ricevettero minacce per questioni di pizzo. Non si ritenne mai un eroe e non ebbe alcuna intenzione di mostrarsi tale, ma il suo diventò un modo di vivere esemplare perché si batté per migliorare il piccolo mondo che aveva attorno, perché volle dare speranza alla gente di Brancaccio, speranza di un modo di vivere migliore, che desse loro più dignità. Cercò di valorizzare le persone e tentò di far capire che il pensiero di ognuno aveva un valore e delle potenzialità. Non era necessario affidarsi ai soliti protettori per essere rispettati, ma si poteva essere apprezzati per quello che si è e per quello che si fa ogni giorno.

Dagli anni novanta in poi l’impegno di padre Pino si concentra sull’acquisizione da parte della gente del concetto di legalità in senso laico. Così facendo padre Pino mostra un cammino ai suoi superiori e infatti, nel 1991, nel pieno del suo operato, la CEI pubblica una nota dal titolo Educare alla legalità in cui si riflette su come i cristiani vivano questo principio. Grazie a tale scritto ufficiale, per la prima volta anche il mondo cristiano e cattolico si interroga su tale principio e decide di prendere posizione. E’ un passo decisivo verso una maggiore consapevolezza che sia necessario un cambio di prospettiva e una maggiore incisività della gerarchia spirituale nei confronti di certe tematiche scottanti. Il 9 maggio 1993, durante la celebrazione della messa nella Valle dei Templi di Agrigento, Giovanni Paolo II per la prima volta si scaglia contro la mafia e i mafiosi per i loro delitti e gli intima il pentimento per la gravità delle loro colpe: è un passo importantissimo che funge da spartiacque. La condanna viene fatta non solo su un piano morale e di giustizia terrena ma contro la mafia viene invocata la giustizia divina. Il mafioso diventa ufficialmente peccatore, inizia un percorso anche all’interno della sfera cristiana e matura una nuova coscienza comunitaria. L’uccisione di padre Pino nel settembre del ‘93 sembra quasi una risposta a quel discorso così animato di Giovanni Paolo II. Così Padre Pino è divenuto un martire assieme a tanti altri che per mano mafiosa sono morti. La loro opera non è andata perduta, ma il cammino della legalità e la lotta per un mondo più giusto è ancora lunga e spetta a noi tutti preservare non solo la loro memoria, ma soprattutto di continuare un lungo processo da loro iniziato. Anche per questo, oggi vogliamo ricordare padre Pino come un uomo semplice e pacato che ha fatto della sua umile quotidianità un grande esempio di vita.

Spunti di riflessione:

1. Legame con istruzione e formazione. Padre Puglisi dava enorme valore all’istruzione, quando arrivò a Brancaccio cercò di togliere i bambini e i ragazzi dalla strada che sarebbero diventati altrimenti manovalanza mafiosa e creò il centro Padre Nostro. Organizza corsi di alfabetizzazione, formazione di volontari, e si fa tramite con le autorità in un periodo in cui la mafia sfida lo Stato. Pag.32

2. Perché è divenuto beato. Padre Puglisi fa il suo dovere, lavora con umiltà, sta vicino ai suoi parrocchiani, soprattutto quelli che ricevono minacce per questioni di pizzo. Non si ritiene un eroe e non ha intenzione di mostrarsi tale, ma il suo diventa un modo di vivere esemplare perché si batte per la giustizia, la legalità, vuole dare speranza alla gente di Brancaccio, speranza di un modo di vivere migliore, che dia più dignità.

3. Legame con la legalità. Il lavoro di padre Puglisi e il suo impegno era rivolto verso l’acquisizione da parte della gente del concetto di legalità in senso laico. Infatti nel 1991, nel pieno dell’operato di don Puglisi la CEI pubblica una nota dal titolo Educare alla legalità in cui si riflette su come i cristiani vivano questo principio. Pag. 103

4. Il mafioso diventa peccatore, matura una nuova coscienza. Il 9 maggio 1993, durante la celebrazione della messa nella Valle dei Templi di Agrigento, Giovanni Paolo II per la prima volta si scaglia contro la mafia e i mafiosi per i loro delitti e gli intima il pentimento per la gravità dei loro peccati: è un passo importantissimo perché la condanna viene fatta non solo su un piano morale e di giustizia terrena ma contro la mafia viene invocata la giustizia divina. Pag 105

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