La chiamata di Egle Palazzolo: parabola di un mancato cambiamento
( Daniela Scimeca)
Essenzialità di scena e luci ben dosate sono le peculiarità della riduzione teatrale della Chiamata di Egle Palazzolo, storia di un ragazzo che non sapeva sognare come esplicita il sottotitolo di questo racconto che ben si inserisce nel filone delle opere di impegno sociale e civile e ci invita ad una riflessione amara e veritiera sulla condizione del siciliano costretto a convivere con la mafia, con le sue regole, la sua mentalità che permeano la società dettando proprie leggi. Il racconto della Palazzolo non è altro che un lungo dialogo tra un assassino e un giudice. Il flashback della storia ci permette di ricostruire l’accaduto. Dunque, già nella scrittura, era insita una certa potenzialità di scena e il testo ben si prestava ad una rappresentazione dal vivo dove protagonista è soprattutto la voce narrante che con la sua cadenza, gli inserti dialettali, i modi di dire palesa immediatamente il contesto.
La scena permette che il dialogo tra i due protagonisti prenda subito corpo mentre, sullo sfondo, dietro un velo trasparente, sembrano quasi materializzarsi i ricordi passati della vita di Gaspare. Un sottofondo musicale misto di malinconia e disillusione completa la scena. Il flusso del passato è interrotto solo da amare considerazioni e da qualche domanda di chiarimento del giudice che a volte sembra voler portare il protagonista sulla strada della riflessione e della consapevolezza, sembra quasi cercare in lui una coscienza ma Gaspare non coglie il suggerimento, dice spesso di sentirsi vuoto dentro e mostra un’apatia di sentimento che lo rende irreale, quasi una marionetta pirandelliana incapace di muoversi in uno spazio autonomo, di prendere decisioni o provare un residuo d’emozione.
Gaspare appartiene ad un’umile famiglia invischiata con la mafia locale di un paese siciliano non ben specificato, ma fin da piccolo mostra di essere diverso dai suoi fratelli e anche i genitori considerano la sua purezza e il suo candore un difetto. Crescendo Gaspare, seppur caratterialmente pacato, è costretto a subire gli insulti e il disprezzo dei coetanei, ma la sua ingenuità non gli fa cogliere il motivo della sua emarginazione sociale. La situazione precipita quando il padre viene imprigionato e i fratelli sono ben inseriti nel contesto mafioso fatto di vendette e morte. Gaspare isolato più che mai e sempre più incapace di trovare delle risposte viene mandato in Argentina da una madre cupa e apatica che, chiusa nel suo silenzio, continua a guidare le trame di famiglia. La diversità di Gaspare che fino a quel momento rappresenta per lui una brutta anomalia diventa ora possibilità di riscatto. Durante il viaggio per Gaspare il tempo sembra fermarsi. Dopo una vita triste e priva di affetti, dentro l’aereo, utero meccanico Gaspare rinasce e si sente un altro. In Argentina il suo passato, la sua identità vengono all’improvviso annullate e lui, con semplicità e volontà, si costruire un nuovo presente con un lavoro onesto e una donna con cui progetta una vita insieme. E’ felice e non gli sembra vero di poter ricominciare davvero una nuova vita ma un giorno arriva una cartolina dalla Sicilia. Poche parole costituiscono la chiamata della famiglia ai suoi doveri. Così Gaspare che aveva avuto la possibilità di cambiare vita non è in grado di difendere ciò che è riuscito a costruire da solo e senza opporsi al suo destino ritorna nella sua terra per compiere l’ennesima vendetta e inserirsi di diritto nella sua tradizione familiare e sociale. Gaspare uccide meccanicamente, non ha consapevolezza del suo reato, non prova vergogna e non si sente in colpa, in lui non alberga una coscienza ma solo un invadente e imbarazzante vuoto che non gli fa provare nessuna emozione. La sua è pura meccanicità senza motivazione e lo pone in mezzo al guado senza che lo si possa giudicare. E la sua incapacità di comprendere che inizialmente gli da un’altra scelta si trasforma poi in una trappola che lo inchioda per sempre nel ruolo di assassino colpevole. Un ruolo che non cerca ma che non respinge neppure non avendone la forza. Gaspare non capisce, non pensa, non lotta, questo suo “non essere” costituisce la problematicità del personaggio che invita alla riflessione. In lui convivono innocenza e colpevolezza in un eterno dissidio di cui Gaspare non è neppure consapevole. Da lui apprendiamo che “la mafia è una pelle” che ricopre l’uomo siciliano inconsapevolmente dalla quale è impossibile liberarsi e la Sicilia diventa una terra maledetta in cui il perpetuarsi della tradizione mafiosa in una trama infinita di morte e orrore la isolano da ogni soluzione. Il finale, seguendo la tradizione pirandelliana, resta aperto: sarà mai possibile distruggere questa terribile piaga? Al lettore/spettatore, costretto a confrontarsi con l’assurdità delle scelte di Gaspare, è lasciata la risposta.