La cultura dell’abbigliamento

(Carmelo Fucarino)

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L’incontro, promosso in sinergia (bello il termine greco oggi in uso ed abuso, che gratifica il mio amor di mestiere, traduzione del semplice “collaborazione”, cum-labor) tra Lions Palermo dei Vespri e Rotary Palermo Est, avrebbe richiesto un’apertura ad un pubblico più vasto che non la semplice conviviale, pur di due così prestigiosi Clubs cittadini, ma sempre circoscritti ed elitari. E forse ciò implica un adeguamento dei grandi progetti dei seminari dei Clubs che non fanno che parlarsi addosso, investigare sul proprio orticello privato di defezioni et similia, gli americani lo definiscono con la iarda del proprio cortile. Un tema così ampio e socialmente rilevante si circoscrive in una serata pre-cena, per di più quasi abusiva.

Ho sentito critiche diffuse a sconfinamenti culturali in un club di service, come se ciò fosse soltanto mirato alla salute fisica o addirittura corporale, le consuete campagne per gli ultimi del mondo, benemerite ed essenziali, ma non esclusive per la varietà e complessità delle questioni mondiali. Per dare priorità alle periferie, abbiamo perso di vista il centro che è l’uomo. Penso che service è anche dare input formativi alla società che ormai è alla completa, decisiva, finale deriva. Insisto sul tema, perché il mio appello al nuovo governatore al momento del suo insediamento non ha avuto neppure il cenno di una ricevuta. Troppo grandi sono i problemi dei massimi sistemi, anche se in quella riunione si avanzò un impegno alla Politica, i cui atti pratici ho appreso ieri sera dal governatore del Rotary. L’altro ieri in un diverso incontro di beneficienza un autorevole membro del nostro Club mi accennava preoccupato la statistica di questi continui sconfinamenti nella cultura, quasi un danno del service. Non è ancora abbastanza chiaro che siamo giunti a questo punto di completo tracollo, senza papa e senza re, proprio perché è stata sfrattata e ridicolizzata quella Humanitas che un conservatore, più conservatore perché homo novus, come Cicerone, aveva creato e teorizzato per la prima volta nella storia civile e politica e che predicava nei suoi scritti. Un “avvocato” che si era messo a tradurre e divulgare l’ars dicendi, ma anche la filosofia greca, come il nostro recente avvocato Benedetto Croce, divenuto filofoso, storico e teorico di estetica.Purtroppo la serata è stata troppo stretta, è rimasta la biografia tracciata da Giacomo Fanale, ma pochissimo spazio alle programmate domande di Gabriella Maggio. Si trattava di un tema così immenso che coinvolge la vita quotidiana di tutti, ricchi e poveri, primo e terzo mondo (gli abiti usati donati finiscono spesso in società multinazionali che li riciclano come firme anche nel beffardamente detto terzo mondo), la politica culturale locale, nazionale ed internazionale e la concezione stessa della moda, come espressione di cultura di un popolo. Se oggi il fatturato della cosiddetta moda si valuta in centinaia di miliardi, solo in Italia, se abiti di alcuni sarti (chiamateli pure “stilisti” o fa più chic couturier,che poi in francese vuol dire “sarto”, come il siciliano custureri, da “costura”), sarti, si badi, moderni e viventi, che in paesi poveri di arte nobile sono finiti nei Musei, qualcosa vorrà dire. Si è visto attraverso un filmato di pregevole contenuto e sintesi quale importanza ha avuto la tradizione dell’abbigliamento, uso il termine a ragion veduta, perché nel filmato non si parlava solo di abiti, come forse voleva dire l’ambiguo titolo usato per il convegno,“Cultura del costume”, ma anche di preziosissimi e personali accessori, scarpe e borse. È stata sfiorata la questione di alcuni di questi strumenti di tortura inventati per “apparire”, ma ci fu pure una moda a la guillotine, si è volato attraverso tanti secoli in una rassegna che è stata troppo sintetica e legata, per la stessa natura dell’incontro e il limite temporale, alla collezione di Piraino. Poco spazio è restato per allargare l’obiettivo sulla natura stessa del fenomeno dell’abbigliamento che oggi si è imposto in modo abnorme nella società, con il culto della personalità di sarti e cifre da capogiro. Ultimissima per avere un’idea del sistema mondiale dell’industria dell’abbigliamento (non si è parlato inoltre di monili, profumi e cosmetici e altri abbellimenti femminili, oggi anche maschili), l’affermazione delle sfilata per la quarta generazione con modelle gray da sbigottire. Passi per Amanda Lear, 73 anni ben portati in body di paillettes rosa, ma Jacqueline Murdock, 82 anni, Daphne Selfe, 83 anni, Iris Apfel, 91 anni. Questo il nuovo target di modelle e stiliste che vanno fortissimo, dopo anni di impero di silfidi anoressiche bambine. Perché, amici, in una società di fanciulle disoccupate, quelle che possono spendere bene e moltissimo sono le donne mature o meglio le anziane ricche ed affermate. In questo tourbillon di investimenti, la cosiddetta moda (non si è potuto azzardare neppure una definizione), è diventata un prodotto effimero, come tutto quello che scorre sui media. Finita la sfilata, già si è preparata e definita la prossima selezione. Dal lungo al corto, dalle pagliette al monacale, a corrente alternata. Il tema del convegno era ristretto alla collezione Piraino, cioè all’aspetto museale di una collezionale privata, sia nell’illustrazione della raccolta sia nella sua collocazione nella progettualità palermitana. Bene ha fatto Davide Camarrone a sollevare la questione eminentemente politica dell’incuria e del disinteresse degli "occupanti” le istituzioni. Ma non bastano più l’indignazione e la protesta, resa inefficace dai grilli nazionali. Ecco, le associazioni di “service” possono proporsi come soggetti di mediazione e di intervento sociale e culturale. La società moderna è ormai diretta dalla finanza che mira esclusivamente all’utile e al guadagno. Si può intervenire con un progetto di acculturazione che combatta questo snaturamento dell’essere uomo rispetto all’animale? Si può mirare all’intelletto dell’uomo? Le sezioni di restauro dei licei tecnici sono state chiuse dai neo-ministri di scuole private. I finanziamenti ai Musei statali sono ristretti al pagamento degli impiegati esistenti in vista della loro contrazione. I depositi dei Musei sono pieni di opere d’arte non fruibili, gli erari di apertura sono rigidi. Si preferisce aprire di lunedì senza visitatori e chiudere domenica con le file. È inutile alzare lamenti e deprecazioni contro sordi e tracotanti, tutti dobbiamo impegnarci per ribaltare i sistemi di valori e priorità, altrimenti chiuderemo i Musei e ad Agrigento e Pompei torneranno a pascolare le capre. Il comune cittadino votante e gli uomini politici e la stampa che crea l’opinione pubblica, devono tutti agire, subito ed ora che il peggio incombe con il suo fragore assordante di grida oscene e di violenze televisive. L’abbigliamento ha ormai una sua storicità e ha bisogno certamente di avere una sua specifica sezione museale. Le proposte didattiche sono implicite in tale progetto, ogni museo è volto, anche nella semplice fruizione pubblica del bello, alla educazione permanente, non è solo rivolta e limitata alle passive scolaresche. Ogni esposizione con una sua progettualità ha una funzione formativa sociale, oltre che prettamente edonistica. Perciò non vedo preclusioni o limitazioni anche a questa musealizzazione. La questione perciò resta la sua storicizzazione e la sua conoscenza come bene sociale.  Perciò alla prossima puntata sul vero ruolo della moda in questo nuovo sistema sociale in fieri.

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