CIRQUE DE LA MERVEILLE
( Aurora D’Amico)
Tutti la chiamavano “Zampa”, ma il suo vero nome era Sauvanne. Come molti della compagnia, anche lei era nata su un vagone del treno, con poche possibilità di sopravvivere al freddo dell’inverno. Fu un parto lungo e doloroso per la madre, che venne a mancare irrimediabilmente. Toccò, dunque, al padre illustrarle il mondo in cui avrebbe vissuto: il “Cirque de la Merveille”. Per i primi anni la piccola Sauvanne si divertiva assistendo ai vari spettacoli messi in scena. Ma ogni sera per cinque anni, il direttore del circo si presentava al padre di Sauvanne, urlandogli contro sempre la stessa frase: “Chi nasce nel circo, è proprietà del circo”.
Così fu costretta a seguire le orme del padre: addestrare i leoni della savana. Il primo ordine che riuscì a dare fu “zampa”, e per un’intera giornata andò in giro a raccontare l’accaduto a tutti gli artisti del circo, i quali le diedero proprio quel soprannome.Insieme al padre iniziò a prendere parte agli spettacoli e le platee rimanevano allibite dalla pericolosità della scena che veniva loro proposta. Zampa era così piccola che riusciva ad entrare nella bocca dei leoni e quando ne balzava fuori, all’ordine del padre quelli emettevano il ruggito più forte che si fosse mai sentito. Gli applausi per il loro spettacolo non erano mai abbastanza. Ma una mattina mentre gli uomini della compagnia stavano montando il tendone per lo spettacolo, i leoni fuggirono dalle loro gabbie, lasciate inspiegabilmente aperte. Tutti iniziarono ad accusare l’addestratore, che venne convocato nel vagone del direttore, per poi non uscirne più. Non ci fu nessun pagliaccio, nessuna donna cannone, nessun acrobata che riuscì a ridare il sorriso a Zampa, la quale si rese conto che il circo non era affatto il luogo che si era immaginata per tutti quegli anni. A diciotto anni decise che avrebbe cambiato vita; ripetutamente si presentava al direttore per riscuotere i soldi che le spettavano e comprare la sua stessa libertà. Ma ogni sera era la stessa storia e Zampa se ne tornava nel suo vagone a bocca asciutta, con qualche livido in più sulle braccia. Intanto gli spettacoli continuavano; e il suo era quello più acclamato. Sì, c’era l’acrobata che saltando da un capo all’altro del tendone lasciava tutto il pubblico senza fiato; c’erano i prestigiatori che con i loro trucchi riuscivano a catturare l’attenzione di grandi e piccoli; e c’era anche chi giocava con coltelli, fiamme e altri oggetti pericolosi, capaci di fare venire la pelle d’oca a chiunque. Ma nessuno aveva la grazia, il fascino e la capacità di tenere in suspense ogni singolo spettatore, come Zampa. Tuttavia gli applausi e i sorrisi della gente non riuscivano più a darle alcuna soddisfazione. La sera, inoltre, sentiva i colleghi ubriachi bisbigliare il suo soprannome seguito da rime volgari. Quelli che non conoscevano la sua storia parlavano male di lei; e chi, invece, l’aveva vista crescere le aveva ormai voltato le spalle. Ma c’era un ragazzo che le ricordava tanto suo padre: si chiamava Eric, anche lui nato su un vagone del treno, e si occupava di tutti gli animali del circo. Eric era l’unica persona in tutto il circo a chiamarla col suo nome di battesimo, Sauvanne. Probabilmente il fatto che fossero entrambi orfani e coetanei fu il motivo per cui instaurarono una forte amicizia, di poco diversa dall’amore. Molto spesso la notte Sauvanne non riusciva a chiudere occhio; così lei ed Eric rimanevano coricati all’aperto ore ed ore a confidarsi segreti, prendere in giro il direttore o semplicemente sognare di potere fuggire da quell’inferno, un giorno o l’altro. Eric era la cosa più simile a una famiglia che Sauvanne avesse lì dentro; e lo stesso valeva per lui. Ma una sera, come in un flashback, le gabbie dei leoni furono trovate aperte e il direttore non tardò a far convocare Zampa, la quale venne scortata da due uomini robusti. Era appena scesa dal suo vagone, quando Eric le si parò davanti. “Sauvanne!” “Lasciami andare” disse, mantenendo la calma. “No! Non permetterò che accada.” Dunque si voltò verso i due uomini e disse: “Sono stato io a lasciare la gabbia aperta!” I due uomini, confusi, si scambiarono un’occhiata e agirono di conseguenza, spingendo Eric via con loro. Sauvanne iniziò a urlare con tutta la voce che aveva in gola, senza dare minimamente pace ai polmoni: sapeva che non era stato lui, così come non era stato suo padre; e infondo lo sapevano anche gli altri della compagnia. Accadeva ormai da anni: quando il direttore non aveva abbastanza denaro per pagare tutti gli artisti, alcuni di loro venivano sacrificati, facendo ricadere la causa su un “errore” mai realmente provocato. Era una cosa ormai nota e alla quale nessuno era mai riuscito a ribellarsi, sebbene nessuno ci avesse mai realmente provato. Ma Sauvanne non aveva alcuna intenzione di assistere ad un’ennesima morte innocente, e senza pensarci due volte corse verso il luogo in cui stavano conducendo Eric, scomparendo nel buio di un tendone. Ciò che accadde quella sera è solo una leggenda: alcuni dicono che i due vennero uccisi e seppelliti quella notte stessa, altri affermano di averli visti correre fino a raggiungere l’orizzonte, con in cuore il desiderio di allontanarsi il più possibile da quel circo. I corpi dei due giovani, difatti, non furono mai trovati. Ma una cosa è certa: l’ultimo respiro lo avrebbero fatto insieme.