ADIEU ed altro
(Carmelo Fucarino)
Al tavolo il regista Castiglione, il prof. Amedeo Tullio il presidente Lions Palermo dei Vespri V. Ajovalasit, il dott. Teresi, l’avv. Manzella
«Bellodi disse che la Sicilia era incredibile. – Eh sì, dici bene: incredibile… Ho conosciuto anch’io dei siciliani: straordinari… E ora hanno la loro autonomia, il loro governo… Il governo della lupara, dico io… Incredibile: è la parola che ci vuole. – Incredibile è anche l’Italia: e bisogna andare in Sicilia per constatare quanto è incredibile l’Italia. – Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno… La linea della palma… Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed e già, oltre Roma…» (Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1964, p. 116).
Certo pochissimi avevano notato Le parrocchie di Regalpetra del 1956 e i tre racconti di Gli zii di Sicilia del 1958. Non ricordo che nel 1961 il progenitore di tutta una serie di romanzi gialli all’italiana avesse suscitato grandi entusiasmi. So che l’iter verso la celebrità del libro e dell’autore fu lunga e non fu un bestseller. Io comprai l’edizione Einaudi del 1964, ma non faccio testo. Poi fummo travolti dal successo del film di Damiano Damiani del 1968, anno “segnalato” e storico, con un incisivo Franco Nero e una procace Claudia Cardinale. Per una ventina di anni fu presente mensilmente in tutte le tv locali, fino alla nausea. Una Sicilia datata e stridente. Poi il 10 gennaio 1987 sul quotidiano milanese esplose quell’articolo dissacrante I professionisti dell’antimafia, ove i magistrati del pool antimafia erano gli “eroi della sesta” (giornata), rei di carrierismo, il Coordinamento antimafia che, per una «certa affinità di cultura», aveva nel suo cuore non Orlando, ma un sindaco come Vito Ciancimino. Rispose fra tutti con la stessa virulenza sul Nouvel Observatour con l’accusa di esibizionismo, Marcelle Padovani, quella stessa che aveva raccolto la celebre intervista La Sicilia come metafora, altra discussa querelle e discutibile dell’ultimo Sciascia polemista, che con questioni locali si atteggiava al PPP nazionale. Queste riflessioni mi giungono a proposito del documentario di Alberto Castiglione, ultimo in ordine di tempo, ma non di valori. La coincidenza strabiliante delle ultime estati tropicali e l’avanzare reale della linea della palma, fino al cuore della Madunnina. Da qualche anno il Nord europeo e lavoratore è travolto dall’ondata di fango che non risparmia alcun partito o istituzione, dandoci l’immagine di una società godereccia e pecoreccia che spreca gli sghei in scene da Trimalcione, un Satyricon di basso impero alla meneghina, da sbellicarsi dalle risate o da seppellirsi di vergogna. Vogliono ancora farci intendere che gli industriali stranieri non si avventurano in Italia per paura delle tasse? Ci sono ben altri stati dell’Unione che in quanto a tasse non scherzano e le fanno pagare davvero a scanso di pene certe e severissime. È la corruzione, il pizzo pesantissimo e scandaloso di mafie e politici di ogni livello a tenere alla larga gli investitori. Sul piano della mafia siciliana, presentata dagli intermezzi di Letizia Battaglia e Vittorio Teresi, c’è un filo ininterrotto che lega l’indagine a tante altre inchieste e documentari, quel desiderio di mostrare la realtà e di indicare l’uscita dal tunnel, la tragedia e la speranza, anche se qui trapela un innegabile pessimismo. Durante il dibattito la soluzione più adottata è stata la cultura, nella sua forma più ampia e generale di formazione umana, e nello specifico e particolare dell’educazione alla legalità secondo il progetto programmato con il premio. È vero che in un celebre convegno di proprietari terrieri siciliani si avanzò l’idea della scuola come male peggiore. Erano tempi di oscurantismo, ora anche i capimafia hanno spesso una laurea di prestigio. Perciò, tra tutti i consueti appelli alla scuola perché si faccia carico anche di questo e le drammatiche testimonianze personali, mi ha colpito, chiara, precisa e categorica, la domanda del procuratore Vittorio Teresi: come possiamo parlare di legalità a persone che vivono oltre la soglia della miseria e del degrado materiale e spirituale? Davanti ad una classe politica e ad un’amministrazione che si dà al saccheggio e allo sperpero, indecorosi e spudorati, davanti alle tante orge e baccanali, con ostriche, champagne e sesso, suona quasi oscena una richiesta così semplice, il rispetto degli altri, della dignità umana e ancor più della vita, che significa poi il rispetto delle leggi. In un celebre dialogo di Cesare Abba (Da Quarto al Volturno, Noterelle d’uno dei Mille dopo vent’anni, 1880), figlio di Cairo Montenotte e non certo tenero con i Siciliani dai tratti e dall’aria “moresca”, il 22 maggio 1860 al Parco, padre Carmelo, che egli vorrebbe indurre ad unirsi ai Garibaldini, risponde con un pontificio “non posso” e spiega: «In quanto al popolo, solo o diviso, se soffre, soffre; ed io non so che vogliate farlo felice». «Felice! Il popolo avrà libertà e scuole». «E nient’altro! Perché la libertà non è pane, e la scuola nemmeno. Queste cose basteranno forse per voi Piemontesi; per noi qui no». «Dunque che ci vorrebbe per voi?» «Una guerra non contro i Borboni, ma degli oppressi contro gli oppressori grandi e piccoli, che non sono soltanto a Corte, ma in ogni città, in ogni villa». Siamo ancora a quel punto, in una divaricazione assoluta di stato sociale e di benessere, allora coi piemontesi, oggi … Perché i Siciliani hanno avuto l’autonomia, ma i capitali da allora sono stati trafugati in Val Padana. Oggi quelle insegne di “Banco di Sicilia” fanno tenerezza per la loro falsità. Ciò non vuol essere un atto di sfiducia o di rinunzia, ma l’indicazione più ragionevole per uscire dal tunnel. L’istruzione, sì, e lo dice un addetto ai lavori, ma come operare davanti all’abbandono scolastico? Gli insegnanti di prima linea sanno che in determinati ambienti si deve andare casa per casa a cercare i “renitenti”. Lo Stato si è coperto dietro l’obbligo scolastico. Si prevedono sanzioni pecuniarie (pure!) e infine addirittura i carabinieri. Eppure vai a convincere una madre a mandare il ragazzo a perdere tempo a scuola, l’unico che porta qualche soldo a casa. Sì, ancora il lavoro minorile, non certo quello delle zolfare, ma quello dei servizi infimi per dodici ore al giorno. Perché è più facile sfruttare un ragazzo. Gli insegnanti sanno cosa significa operare in simili condizioni. Io so cosa significa. Eppure la Costituzione oltre al diritto-dovere dell’istruzione obbligatoria prevede il diritto al lavoro. Qui, come giustamente ha precisato il procuratore, sta la ferita da curare. Perché anche la disoccupazione minorile in Sicilia è la più alta di Italia.