Leonardo Sciascia e la sua “sicilitudine” – Seconda Parte
(Tommaso Aiello *)
Attorno ai motivi del primo saggio,”Pirandello e la Sicilia (1961), matura il concetto sciasciano di “sicilitudine”,secondo taluni temi e problemi letterari che la profonda realtà isolana germina. Con la resistenza al romanticismo l’autore spiega l’isolamento post-unitario della Sicilia; se Gentile ritiene la matrice verista responsabile d’aver precluso la Sicilia ai grandi temi europei Sciascia dissente,in nome d’una fedeltà alle sue profonde ragioni,agli <<strati infimi…forza e limite della narrativa siciliana…che cioè esprimono una visione del mondo,una cultura…nella misura in cui il verismo si fa realismo, lo studio rappresentazione, la poetica poesia>>, stante l’inclinazione degli autori isolani a rappresentare aspetti inesplorati,personaggi eccentrici della realtà regionale,cogliendoli in un passato non lontano e in un momento di trapasso. Prima di trovare un’interpretazione personale degli scrittori siciliani Sciascia si vale della roba, della donna, del gallismo, della tragica trasformazione di creature in personaggi;misura la distanza tra le classi sociali,tra verità e menzogne. Nel saggio del ’54 “Il catanese Domenico Tempio”, il nostro autore stringe il tema erotico all’amara commedia di costume brancatiana e alla sua valenza nell’eterna anima siciliana.
In essa il discorrere sulla donna realizza un prodigio che poggia però sul” piacere….quasi sempre passato o futuro e non mai presente, nel modo stesso che la felicità è sempre altrui e non mai di nessuno,e sempre condizionata e non mai assoluta. Spicca l’insicurezza apprensiva degli affetti, spina psicologica cui risale l’isolamento del siciliano, che esaspera il suo individualismo sui due versanti dell’esaltazione e della sofistica disgregazione. Tale insicurezza produce il fallimento storico, col fatale esporsi alla mistificazione e avallarla. L’insicurezza circa gli affetti, l’etica e il comportamento erotico tutto riducono a oggetto di dominio o di piacere, al dramma della solitudine che esige il possesso esclusivo e si nutre d’invidia. Così il siciliano <<riconoscendo nella donna una vita soltanto istintiva, tende a soddisfarne i sensi per ridurre il margine d’apprensione,di insicurezza, relativamente alle sue azioni.>> Non ne nasce, però,come si potrebbe pensare, una spinta realistica; in tal modo di vivere siciliano Sciascia scorge piuttosto una sorta di adolescenziale inettitudine che si fa contemplazione solitaria e ossessiva difesa. Stato o mafia,clientelismo e miseria,servilismo,esasperazione dialettico-giuridica, fino all’uso sofistico del concetto di giustizia,si prestano a leggere i vari fenomeni. Ad ogni nuovo nodo problematico l’autore cresce e meglio riconosce nel ”caso”siciliano un’umanità che ne supera l’ambito. Per Sciascia in Sicilia il concetto di privilegio ha assunto ormai valore molteplice, se deriva da concessioni sovrane assai antiche. Da tempo quei privilegi si sono cristallizzati in una coscienza giuridica sensibile e permalosa,”astratta,involuta,cavillosa,sofistica>>. Tale vuoto esercizio giuridico non ha scalfito la forza d’una feudalità latifondistica che ancora oggi fa il bello e il cattivo tempo in Sicilia; ne è però scaturito un duplice atteggiarsi dello spirito dell’isolano,che ora si adegua servile agli odiati e bestemmiati potenti,ora esalta la propria scaltrezza nel muoversi tra le pieghe d’un diritto annoso e aggrovigliato. Fino a illudersi di poter sempre raggirare i dominatori. Ci s’imbatte così nell’illusione d’indipendenza, lusingata da separatismo e da autonomie regionali, dalla presenza di siciliani ai vertici della vita nazionale:ma non vi corrisponde un reale progresso nell’isola, che “ha problemi da terzo-mondo e si trova a convivere col primo”. Questa follia d’indipendenza,di credere che la Sicilia <<perfetta e se stessi portatori d’un modo di vita impareggiabile>>,tira in causa il fenomeno della mafia, ma non basta a spiegarlo; nell’incapacità e nel rifiuto a strutturare una vita associata che si dia leggi e vi ottemperi, nella pazza certezza d’affrancarsi con doti native da un potere statale sentito come estraneo,tutte le forme isolane o in occasionale contrasto col potere costituito trovano incoscia disponibilità nel siciliano; per la sua insicurezza e inquietitudine di fondo,che promuove o giustifica la violenza,anche nelle forme dell’inganno, dell’impostura. L’idea della consanguineità, d’una cerchia familiare e ridotta che ogni siciliano crede più agevole controllare,lo trae a quella rete di favori,opportunismi, pseudoprotezioni che spesso sono supporto “mafioso” e mistificano le leggi della vita associata. E non è da credere che tale mentalità sia finita,perché ancora oggi nei piccoli e medi centri ci sono dei clan che si “sistemano”al “municipio”,alle poste e dove è possibile trovare ampi spazi per inserirsi(vedi aziende parastatali o private:asili nido,centri di formazione,assistenza agli anziani,centri di accoglienza”casa-famiglia”). Il siciliano risulta vivere in una condizione alienata, che l’imprigiona entro forme ormai senza significato(imposture),ma tali da vanificare e comprimere quanto della vita popolare,della sua pena e passione chiederebbe di venire alla luce. La paradossale condizione del siciliano si separa dunque dalla possibilità di vivere il suo tempo,il disvivere siculo-ispanico, scrive Sciascia,riappare nei temi del Gattopardo:il sonno, la morte, l’autoconvinzione di essere dei, l’impossibilità di una vita associata. Del resto non s’intende Sciascia senza le sue chiose saggistiche a Pirandello (vedi Pirandello e la Sicilia,1961), che scopre in ogni cervello siciliano<<tre corde d’orologio…la seria,la civile e la pazza….Bloccata da secoli quella civile,la corda seria vibra solo in sincronia con lo scatenarsi della corda pazza>>. Occorre il distacco per isolare nella quotidianità del mondo siciliano le risonanze delle corde vibranti. Per tali ragioni la narrativa di Sciascia procede senza dar troppo peso alla nobiltà del genere letterario:egli è pago della provocazione che può venire dal giallo,aperto alla formula teatrale se la vibrazione etica (la corda seria!)si separa da interferenze o da possibilità di letture equivoche. I sali coloristici,erotici,folkloristici, lo distinguono da ogni altro autore del suo tempo. Quando scrive che<<Vittorini,Brancati e Quasimodo offrirono più o meno direttamente i tre temi siciliani…la Sicilia come mondo offeso….come teatro della commedia erotica….come luogo di bellezza e verità>> è agevole rendersi conto della sapiente mescolanza di motivi e d’ingredienti ottenuta col preciso intento di non tradire l’isola,d’offrirne una immagine veritiera e una spiegazione animata ma”universale”;d’interpretare davvero in ogni forma,a ogni riga la Sicilia,il suo cuore. ( Continua)
*Consulente del Distretto Lions 108yb
per l’Area Cultura e Comunicazione