Trovando e ri-trovando: “curiosità” archeologiche
a cura del PDG Prof. Amedeo Tullio, Archeologo, già docente di “Metodologia e tecniche dello scavo archeologico” presso Università degli Studi di Palermo
Museo Archologico di Polizzi Generosa ( particolare)
Con questo numero del Vesprino – ringraziando preliminarmente il Lions Club Palermo dei Vespri, la Redazione tutta ed in particolare Gabriella Maggio - si dà inizio ad una rubrica che vuole rispondere all’istanza sempre più pressante di voler conoscere i reperti di scavo come autentica memoria del nostro “essere stati” e non come feticci da contemplare per la loro preziosità, per la loro presunta, e non sempre autentica, bellezza e valenza estetica, o per la loro vetustà. Essi sono, in tutti i casi, oggetti, strumenti e talora veri e propri monumenti, che dobbiamo leggere opportunamente per coglierne l’effettiva valenza di testimonianze di cultura materiale. Molte apparenti stranezze, che spesso suscitano la nostra curiosità (leggi interesse) per la cultura che le ha prodotte, rivelano insospettabili funzioni di questi reperti, frutto di scavi archeologici, completi di dati topografici e stratigrafici. Proprio, come i” corpi di reato”, questi ultimi testimoniano, concretamente, gli eventi o comunque le loro funzioni ed il loro uso. Questo approccio ai segni della nostra storia supera quello tradizionale, esclusivamente, storico-artistico di tipo “romantico-idealistico” (cfr. Winchelmann, Hegel, Croce e, se si vuole, Ceram) di patrimonio di valori perduti cui riferirsi e da imitare (cfr. neoclassicismo) non tanto espressioni di questa o quella cultura, ma capolavori assoluti, patrimonio “esotico” quanto incompresibile. La loro contestualizzazione diventa quindi un aspetto fondamentale ed è, per ciò, che i segni che saranno presentati sono frutto di scavi che ho avuto il privilegio di condurre a Cefalù, a Polizzi Generosa ed a Palermo (Complesso di Maredolce) o di Studi specifici di oggetti di cui sia almeno nota la provenienza.
Un poppatoio con pallina antisoffocamento.
Il nome dei vasi di ceramica nell’Antichità era generalmente legato alle funzioni cui era destinato, come è il caso di “anfora” (vaso per trasportare liquidi, munito di due anse o manici), “oinochoe”(brocca per versare vino), o “cratere” (vaso per mescolare). In alcun casi, tuttavia, il nome che ci hanno tramandato le fonti non pare legato alla specifica funzione o non ne conosciamo l’etimologia, come è, invece, il caso di alcuni contenitori: il “kothon” o il “guttus”, ad esempio. Il guttus, di cui ci occupiamo in questa puntata, è un vasetto di piccole dimensioni, caratterizzato dalla bassa forma schiacciata, dalla presenza di un “beccuccio”, più o meno allungato e dalla posizione dell’ansa , al di sopra del serbatoio, a poco meno di 90 gradi dal beccuccio .
L’ipotesi più probabile è che si tratti di poppatoi (o biberon che dir si voglia); ipotesi suffragata dal posizionamento dell’ansa, che ne consente una “utilizzazione” per un infante tenuto in braccio. Un’altra ipotesi, recentemente avanzata, è suffragata dalla forma, talora estrosa e non del tutto funzionale del beccuccio configurato, a forma di testa leonina o, più o meno, vagamente allusiva (valga per tutti quella a forma di fallo dagli scavi condotti al di sotto del Duomo di Cefalù) e dalla, sia pur generica, somiglianza della sagoma con quella della lucerna. Non è da escludere che le due funzioni possano essere riconosciute nei guttus: certamente poppatoi, quando il beccuccio è soltanto funzionale e il serbatoio più capiente (fig. 2), o, contemporaneamente, versatoi (ampolline) per ricaricare di combustibile le lucerne, “lamp filler”. Le due ipotesi funzionali non sembrano da escludere e, almeno in alcuni casi.
Figura 2
Dalla Sep. 162 della Necropoli ellenistica di Polizzi Generosa proviene un guttus (Inv. Po 96.404) della metà del IV sec. a.C., con il beccuccio “a testa di leone, completato da una pallina antisoffocamento originariamente contenuta all’interno (Tullio)” ed attualmente collocata a fianco nell’allestimento espositivo del Civico Museo Archeologico di Polizzi Generosa. Interamente ricoperto di vernice nera, di forma schiacciata con il beccuccio elegantemente configurato a testa di leone ed il filtro presso l’imboccatura.
In questo caso si tratta certamente di un poppatoio che come in quelli attuali era dotato di un sistema atto a rallentare il flusso del liquido contenuto: una pallina di terracotta che si inseriva opportunamente dentro il versatoio. L’attenta ricerca archeologica ce ne ha reso partecipi