ARGENTINA INDIA: I MAPUCHES

(Gianfranco Romagnoli)

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In questa mia serie di articoli su cose argentine, non posso trascurare di parlare della più importante popolazione di amerindi nativi, ossia dei Mapuches. I Mapuches sono un popolo precolombiano, tuttora esistente: la loro origine sembra sia da ricercare in Argentina, da dove si espansero dapprima attraverso le Ande verso il Cile e, successivamente, nella regione delle Pampas e della Patagonia, assimilando alla loro cultura diversi popoli originari di quei luoghi come i Pehuences, gli Het, i Tehuelces ed altri.  Questo popolo, in realtà, oggi come allora rifiuta il nome di Araucani, che gli fu dato dagli Spagnoli al tempo della Conquista con riferimento all’Araucania, la regione del Cile da loro popolata, preferendo piuttosto quello originario di Mapuches.

Tale nome, la cui incerta origine ed etimologia è ancor oggi oggetto di discussione, secondo la tesi prevalente sarebbe stato dato a quelle genti dagli Incas e sembra derivi dalla parola quechua Awqua, che significa selvaggio, ribelle; oppure potrebbe derivare da una ispanizzazione della parola ragko, cioè acqua argillosa, dal nome di una località in cui si imbatterono i Conquistadores. I Mapuches erano un fiero popolo di indomiti guerrieri, divisi in tribù governate da cacicchi eletti dalla comunità tra i capi famiglia: tuttavia, in caso di guerra la tribù conferiva i pieni poteri a un capo militare eletto, detto Toqui e, se la guerra coinvolgeva più tribù alleate, a un comandante in capo detto Gran Toqui. La loro religione si basava su una concezione dualista: Nguenecbén era il creatore, contrastato da Pillán, spirito del male. Dediti al cannibalismo secondo quanto riferiscono gli Spagnoli (il più specifico riferimento letterario è nell’Auto sacramental di Lope de Vega La Araucana) e con fama di invincibili, diedero sempre grandi problemi a chi intendeva assoggettarli: in Cile, il potente impero Inca, nella sua espansione verso il sud, dovette infatti arrestarsi alla riva nord del fiume Maule, 250 chilometri a sud dell’attuale capitale Santiago, ma l’effettivo controllo del territorio si fermava novanta chilometri prima di tale confine. Sono note dalla narrazione che ne ha fatto Isabel Allende nel suo bel romanzo Ines dell’anima mia (tratto dal poema La Araucana di Alonso de Ercilla), le vicende della conquista del Cile che Pedro de Valdivia, luogotenente di Pizarro, intraprese muovendo dal Perù e che, dopo i primi successi, si risolse con la ribellione degli Indios, la distruzione della nuova capitale e la morte del condottiero, finchè i territori perduti non furono in seguito riconquistati da García Hurtado de Mendoza. Anche dopo l’indipendenza degli Stati sudamericani dalla Spagna i Mapuches, nonostante il riconoscimento della loro sovranità attraverso atti di diritto internazionale detti Parlamentos, continuarono nelle offensive contro le nuove entità statali. In Argentina nel 1833 furono condotte campagne militari per sottomettere questo irriducibile popolo (se ne trova eco nel Martin Fierro, oggetto di un mio precedente articolo), ma la successiva guerra civile che afflisse la nuova nazione sudamericana permise agli Indios di rialzare la testa: a partire dal 1870 infatti essi realizzarono una serie di scorrerie contro varie città, giungendo fin nelle vicinanze di Buenos Aires. A queste l’Argentina rispose con la cosiddetta Guerra del Deserto, iniziata nel 1879 dal Generale Julio Roca (di origini siciliane, divenuto in seguito Presidente della Repubblica) ed i cui strascichi si protrassero a lungo. Alle ultime campagne contro gli Indios partecipò il Colonnello (allora giovane ufficiale di cavalleria) Josè Zabala, nonno di chi scrive. Benchè l’assoggettamento seguito a queste guerre abbia fatto parlare di assimilazione violenta se non di genocidio, molti gruppi Mapuches non hanno rinunciato alle loro rivendicazioni e, a tutt’oggi, le loro principali organizzazioni reclamano l’autonomia dei propri territori, la devoluzione della terra e maggiori opportunità di rappresentanza politica.

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