Kandaules o dell’epifania della bellezza

(Carmelo Fucarino)

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William Etty, Candaule

Alle Panatenee del 445 a. C. un greco di Alicarnasso lesse pubblicamente le sue Storie ed ebbe dieci talenti di ricompensa. Fu per Atene una somma immensa, ma ben spesa, perché la polis divenne eterna nel suo eroismo e nella sua vittoria sulla seconda invasione d’Oriente, dopo quella che portò alla mitica guerra di Troia. Nell’eccezionale monografia sulla guerra persiana, Erodoto inserì anche dei singoli lógoi, talvolta un intero libro, sulla storia di un popolo (II, Euterpe, sugli Egizi), cominciando dalla geografia per giungere all’etnografia e ai culti. Inserì anche dei racconti, volgarmente definiti “novelle”, le prime del mondo occidentale. Proprio nei primi capitoli delle sue Storie (I, 7-14), trattando del regno dei Lidi, raccontò come il re di Sardi Candaule fosse stato l’ultimo degli Eraclidi (una diramazione lidia del mito della stirpe ecista), che avevano regnato per ventidue generazioni, ben 505 anni, perché ucciso da Gige, che inaugurò la nuova dinastia dei Mermnadi. Il re, assai innamorato della moglie e ritenendola la più bella del mondo, ne decantava la bellezza alla sua guardia del corpo Gige. Convito che questi non gli credesse – «le orecchie avviene che siano più incredule degli occhi» -, gli propose di vederla nuda. Protestò Gige: «Signore, che insano discorso mi fai, ordinandomi di guardare nuda la mia padrona? Una donna si spoglia assieme al chitone che indossa anche del pudore; da tempo si trovarono per gli uomini i buoni precetti, dai quali bisogna imparare: di essi uno è questo che ognuno deve guardare le sue cose. Io crederò che lei è la donna più bella di tutte e ti prego di non chiedermi cose contro legge»

. Candaule insistette e preparò uno stratagemma: lo avrebbe messo dietro la porta spalancata della stanza da letto, dove ella si sarebbe spogliata, appoggiando le vesti su uno sgabello accanto alla porta. Così avrebbe potuto guardarla con tutta tranquillità e sarebbe uscito, quando ella gli avrebbe dato la schiena, «sia tua cura allora che ella non ti veda quando esci dalla porta». Tutto filò liscio fino a quando, allontanandosi, la regina lo scorse. Lasciato trascorrere del tempo, ella chiamò Gige e lo pose davanti al tragico dilemma, uccidere Candaule e ottenere lei e il regno, oppure morire subito, «perché mai in futuro vedesse ciò che non doveva, ubbidendo in tutto a Candaule». Allo stupore seguirono le suppliche, ma invano. La donna ordì il piano: trafiggerlo con il pugnale in quel letto, ove la mostrò nuda. La versione è confermata da un papiro ritrovato nel 1950 e risalente al III sec. a. C., che riporta un frammento drammatico di autore sconosciuto che riferisce il monologo della regina, secondo la versione di Erodoto. La leggenda presenta tuttavia nella tradizione classica altre versioni, forse la più antica quella riusata da Platone (La Repubblica, 359d-360a): intanto Gige diventa un pastore, è introdotto il celebre anello, da lui trovato in una grotta (così Cic. De officiis. 3, 38-39), che rende invisibili. Altra versione dà Nicola Damasceno: a Gige è affidato il compito di accompagnare la sposa da Candaule, ma, spinto dal desiderio, tenta di violentarla. Per sfuggire alla vendetta del re lo uccide e prende il potere. Altra versione ancora riferirono Giustino e Tzsetze (VI 482, erudito XII sec.): Gige, spettatore involontario, si infiamma improvvisamente d’amore e decide di ottenere moglie e potere. In altre fonti la donna è descritta come seduttrice, È opinione comune che la leggenda nacque come reminiscenza di una reale presa di potere del VII secolo in Lidia.  La curiosa vicenda hard suscitò nei secoli grande attrazione, tanto che il tema passò nella letteratura moderna. Per citare qualche ripresa della versione erodotea: H. Sachs (inizi XVI sec.), W. Painter (1566) e La Fontaine (Contes et nouvelles, 1665-1685). In forma operistica i prodromi si trovano in epoca barocca con l’opera di P.A. Ziani (1679, Venezia) su libretto di A. Morselis e di D. Sarri (1706, Napoli). In forma di novella la versione erodotea fu ripresa da T. Gautier (1844), ove però la regina è una femme fatale che istiga all’omicidio. F. Hebbel (Gyges und sein Ring, 1856) contaminò invece Erodoto e Platone, puntando sul disonore e sulla violazione delle leggi, nonostante l’amicizia, che conducono all’omicidio e al suicidio della regina. E infine il racconto Le roi Candaule di André Gide (1901), ove Gige uccide contro voglia e prende potere, moglie e ricchezza, questa volta da povero pescatore. Nel 1935 nella Vienna dorata della Felix Austria, Alexander von Zemlisky, musicista di successo, riprese questo tema abusato della discoperta della bellezza fisica, denso di significato morale. Il suo librettista Franz Blei si servì della più vicina versione di Gide, il musicista provò gli ultimi suoi accordi musicali, erede conclamato di Gustav Mahler, che precedette anche in una turbinosa relazione con Alma Schindler, poi Mahler, la cui vitalità illuminò i salotti di Vienna (anche con le sue numerose relazioni, da Gustav Klimt a Oskar Kokoschka, al secondo matrimonio con Walter Gropius, fino al terzo con Franz Werfel). Pur essendo amico e ammiratore di Arnold Schönberg, non si lasciò tentare dalla novità della dodecafonia, ma rimase rivolto all’indietro alle ultime propaggini romantiche, un po’ di Wagner, più la Vienna di Richard Strauss. Nonostante la sua celebrità l’opera non andò però in porto. Artur Bodansky, suo discepolo, gli prospettò che il pubblico puritano del Metropolitan di New York non avrebbe gradito la presenza del nudo integrale, come esigeva la seconda scena. E il musicista abbandonò il lavoro e si dedicò alla composizione di Circe, tema classico della maliarda, ma meno crudo. Quando morì nel 1942, non era risuscito ad orchestrarla. Solo nel 1991, su incarico ufficiale della Hamburg State Opera, Antony Beaumont ne fece l’orchestrazione, ma ciononostante la prima avvenne il 6 ottobre 1996. Pertanto questa messa in scena palermitana è una novità e ha sollecitato presenze nazionali qualificate, anche se il pubblico, davanti a queste scelte artistiche ardite, si mostra sempre alquanto tiepido. Di grande livello la direzione di Asher Fisch sotto la regia di Manfred Schweigkofler, opinabili le scene da cantiere edile dello stesso e di Angelo Canu, come la grande vetrata da sipario, così i costumi imprecisati di Mateja Benedetti. Invece ha dato a Kandaules una voce sicura e possente Peter Svensson, Nicola Beller Carbone ha dato colore vocale e phyisique du rôle a Nyssia, credibilità al suo tragico Gige Kay Stiefermann. Forse sulla freddezza del pubblico hanno pesato i numerosi recitativi e la scarsa orecchiabilità dei brani. Oltre all’invenzione del nome della regina, mai specificato in età classica, nuova è la professione di Gige che, da guardia del corpo e poi pastore, si improvvisa pescatore di pesci divoratori di anelli. Nuova anche l’incisione «io nascondo la felicità». Ma le scene moderne avevano bisogno di altre acrobazie, la magia dell’invisibile, in un mondo in cui l’uomo classico, “creatura d’un giorno”, “sogno di un’ombra” (Pind., Pith.VIII, Per Aristomene e per la pace interore, vv.135-137), è realmente trasportato nella virtual reality, un gioco di impulsi elettronici. Ad epigrafe dell’agire odierno mi piace ricordare che Platone si servì della favola di Gige per spiegare «che cosa è e donde venga la giustizia». Esposta la vicenda, giunse all’amara e dolorosa conclusione che «se dunque due fossero codesti anelli e uno lo indossasse il giusto, l’altro l’ingiusto, non vi sarebbe nessuno, come sembra, così adamantino [così in greco] da permanere nella giustizia e di avere il coraggio di tenersi lontano e non mettere mano sulle cose degli altri, essendogli lecito prendere impunemente dal mercato ciò che vuole, ed entrando nelle case unirsi a caso con chi voglia, uccidere e sciogliere dalle catene chi voglia, e fare ogni altra cosa, poiché è fra gli uomini come un dio. Così agendo, nulla di diverso farebbe dall’altro, ma entrambi andrebbero al medesimo scopo». Fra tanti governanti, divenuti ladri per il loro pieni poteri, possiamo sperare che ce ne sia uno adamantino?

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