Mark Twain in Italia

( Irina Tuzzolino)

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Samuel Langhorne Clemens meglio noto come Mark Twain, nome derivato probabilmente dallo slang dei battellieri del Mississipi che gridavano “ by the mark twain” ( dal segno 2 (tese) ), giunge in Italia nel 1866 a circa trent’anni ed è già un giornalista affermato. L’Italia è solo una tappa della crociera che ha come mete anche la Francia e l’Oriente. Mark Twain è un visitatore originale che si lascia poco incantare dai monumenti e dalle testimonianze dell’età classica e molto di più dal paesaggio naturale che trova incantevole. Il futuro autore di Huckleberry Finn, opera definita da E. Hemingway come l’inizio della letteratura americana, si distingue dai viaggiatori del Grand Tour (tradizione settecentesca interrotta dalle guerre napoleoniche) desiderosi di perfezionare e completare il loro sapere, ma anche dagli altri viaggiatori dell’Ottocento alla ricerca di emozioni, di cui narra Henry James in “Ritratto di Signora”.

Mark Twain ricerca costantemente un suo punto di vista personale, rifiutando i luoghi comuni e le notizie riportate dalle guide sia cartacee che improvvisate dai conoscitori dei luoghi. Le ritiene piene di banalità che pretendono di evidenziare il colore locale, impedendo al viaggiatore di avere una propria impressione e valutazione. Resta pertanto immune dal fascino del miracolo di S. Gennaro, da quello di Venezia, che apprezza soltanto di notte. Non è chiaro se rimpiange di non avere conoscenze artistiche tali da apprezzare l’arte italiana, perché trova sempre la giustificazione che la sua formazione è avvenuta in America, secondo i criteri americani. Innamorato della natura non apprezza le città, da cui ricava l’impressione che siano immobili, bloccate dalla loro storia secolare; nota che in esse la miseria è diffusa, il ceto dirigente è pieno di albagia, gli edifici sono trascurati e decadenti, la sporcizia regna ovunque; scrive : “Questo paese è in bancarotta, non c’è una solida base per opere grandiose”. Le impressioni di viaggio sono rielaborate nell’opera The Innocent Abroad, del 1869, da cui è tratto “In questa Italia che non capisco “, pubblicato in Italia nel 1885. Sebbene alcune affermazioni di Twain possano ancora adattarsi ad alcune realtà cittadine, per cui talvolta le nostre città sono incantevoli soltanto di notte, quando molti aspetti degradati vengono nascosti dalle tenebre, tuttavia mi sembra che il grande scrittore abbia mostrato una certa insensibilità nei confronti del nostro paese, dei suoi artisti e della sua storia. Si ha l’impressione che più che avvicinarsi a ciò che vede per comprenderlo ( apprezzo che voglia osservare ogni cosa direttamente e senza alcuna mediazione) si comporta come se i luoghi e le cose dovessero avvicinarsi a lui. Mi sembra un suo limite. Probabilmente la sua grandezza di scrittore doveva ancora maturare.

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