“Mito e demitizzazione nell’estetica di Pareyson”
(Carmelo Fucarino)
Nell’ambito dei periodici incontri del Centro Internazionale di Studi sul Mito (CISM), l’11 maggio scorso è intervenuta la dott.ssa Cristina Coriasso Martin-Posadillo, ricercatrice nel dottorato europeo in filologia italiana con una tesi su “Leopardi e la natura”, collaboratrice con la cattedra di filologia presso l’Università Complutense di Madrid, ove ha tenuto diversi seminari, componente del gruppo di ricerca sul mito Acis e del comitato redazionale della eccellente rivista internazionale on line di mitocritica Amaltea. La perfetta competenza del tema della conferenza, “Il mito nell’estetica e nell’ermeneutica di Luigi Pareyson”, le deriva certamente dalla traduzione in lingua spagnola degli scritti del filosofo valdostano.
A parte la scorrevole espressione in lingua italiana, che dimostra una profonda frequentazione con la nostra cultura e la letteratura scritta, si deve riconoscere all’autrice, che si occupa alla Complutense in prevalenza di filologia, di avere affrontato un lavoro da far tremare le vene e i polsi per la difficoltà di approccio. Il filosofo Pareyson certamente non gode di una visibilità in campo nazionale, se non fra gli addetti ai lavori, diversamente da quanto avviene invece per i suoi due troppo celebri e popolari discepoli o almeno considerati tali, uno, Gianni Vattimo, che si collocò in altro sentiero filosofico e avviò il passaggio al “pensiero debole”, l’altro che seguì l’altra strada dell’ermeneutica classica della codificazione, decifrazione e sistemazione del linguaggio dei segni, ma ancor più noto, tradotto in tutte le lingue e richiesto per quel fenomeno ecumenico del Nome della rosa e successivi capolavori forse troppo attesi (troppa erudizione e vicende criptiche di moda e di stile poliziesco da Il pendolo di Foucault, a Baudolino e all’ultimo Il cimitero di Praga), l’Umberto Eco delle mediatiche conferenze in tutte le università del mondo. Ma non si tratta solo di questo, tradurre un filosofo così complesso e difficile deve essere stata una prova titanica, data la terminologia assai tecnica e la varietà delle creazioni linguistiche per esprimere i concetti che talvolta appaiono assiomatici e riduttivi. Le strutture linguistiche sono poca cosa rispetto al tecnicismo dell’espressione di Pareyson. Oltre tutto bisogna mettere in evidenza la traiettoria di formazione dell’autore. Partito dall’esperienza didattica tedesca con i corsi tenuti da Karl Jaspers e il magistero dell’esistenzialismo (La filosofia dell’esistenza e Karl Jaspers, 1940, 1983, Studi sull’esistenzialismo, 1943, Esistenza e persona, 1950), assai diverso da quello di parata francese, approfondita l’analisi dell’idealismo tedesco (L’estetica dell’idealismo tedesco, 1950, Fichte, 1950), era giunto alle grandi sue elaborazioni che la relatrice ha puntato nei due testi di analisi, Estetica. Teoria della formatività del 1954 e la Filosofia dell’interpretazione del 1988, intrecciati con tutta la sua ricerca di estetica (Teoria dell’arte, 1965, I problemi dell’estetica, 1966, Conversazioni di estetica, 1966). In questa scarna biografia intellettuale sarebbe riduttivo non ricordare la sua esperienza politica, il breve arresto nel 1944 e la sua attività partigiana e le ultime sue elaborazioni di pensiero, come Filosofia della libertà, 1989, e Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, 1995 (postumo, Opere complete a cura del “Centro studi Luigi Pareyson”). La relatrice ne ha esaminati naturalmente gli esiti estetici in relazione con il mito e i processi moderni di razionalizzazione e demitizzazione, non estranei all’interpretazione del mito, che giustamente ha distinto da mitologia, a cominciare da colui che si identifica oggi con il primo tentativo di storia pre-erodotea, Ecateo di Mileto con i suoi quattro libri di Ghenealoghiai. L’analisi è partita dalla critica puntuale alle teoria del “pensiero debole" (da Hans Gadamer all’approdo alla ontologia ermeneutica) del suo discepolo filosofo, Gianni Vattimo, che si può culturalmente accettare o sconfessare (Manlio Corselli, filosofo della politica, nel suo intervento-elogio ha parlato di “uccisione del padre”, come se il discepolo debba calcare “pedissequamente” le orme del maestro, pena l’ostracismo), attraverso il confronto con le altre esperienze tedesche, per giungere alla traiettoria di "demitizzazione della demitizzazione", attraverso due sintesi comunicative di allegoria e simbolo, nella contrapposizione di Logos e Mythos (chiaramente evidenziati dai vari schemi riassuntivi e dalle citazioni testuali in proiezione). L’intervento del prof. Vincenzo Guzzo, dopo il tributo di amicizia del prof. Corselli, ha concluso con una compiuta sintesi l’esperienza estetica ed ermeneutica di questo filosofo, valdostano di nascita, ma torinese di professione, che dopo l’interesse e la divulgazione delle ricerche di Cristina Coriasso sarà certamente più noto in Spagna, che non in Italia, dove imperano ancora il neoidealista Giovanni Gentile di Castelvetrano e le categorie su tutto lo scibile di Benedetto Croce, mentre sono discussi spesso con acrimonia ideologica Gianni Vattimo e ancor più Massimo Cacciari con il suo “pensiero negativo”, come il cattolico Augusto del Noce, che a partire da Il suicidio della rivoluzione del 1978 a Il cattolico comunista del 1981 trova qualche ostilità anche negli ambienti cattolici per le sue scelte politiche.