Antiche lezioni di politica
Pino Morcesi)
Nel 1159 Giovanni di Salisbury scrive il Policraticus, un trattato che traccia i doveri dell’uomo di stato. Giovanni, che pure è un uomo di potere che ha fatto molte esperienze, descrive il suo tempo come un’epoca piena di vizi con rara efficacia e gusto del colore.”Non c’è luogo dove non vi siano stupidaggini …sia nella Chiesa che nelle sale dei re”, dice rammaricandosi di avere dedicato tanta parte della sua vita al potere . Particolarmente efficace è la denuncia dell’attaccamento dei governanti ai privilegi, il loro gusto di mantenere “ istrioni, mimi, buffoni, meretrici , ruffiani, maghi”, la ricerca del favore popolare incoraggiando divertimenti indecenti.
Il re, secondo l’autore, non dovrà ritenere suoi né i beni che amministra in nome d’altri , né disporre a proprio piacimento dei proventi del fisco in quanto sono anch’essi denari pubblici”. Nuova per quei tempi è la distinzione tra principe e tiranno; il principe, infatti obbedisce alla legge ed amministra non soltanto le cose private, ma quelle di tutti. L’opera, però, deve essere contestualizzata anche nella dialettica del tempo che considera superiore il potere spirituale su quello del re. Il Policraticus, non piacque al re Enrico II Plantageneto , che lo mandò in esilio. Quest’opera però diede frutti negli anni successivi, perché il figlio di Enrico, Giovanni senza terra, concesse la Magna Charta.
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