GIOVANNI PASCOLI
( Gabriella Maggio)
Il 6 aprile 2012 si compiono cento anni dalla morte di Giovanni Pascoli, poeta notissimo a tutti, perché letto nelle scuole dalle elementari alle superiori. Poeta a volte di controversa interpretazione per l’apparente semplicità dei suoi versi, ma di studi squisiti e dottissimi, ha coniugato insieme l’amore per la classicità e l’ascolto della modernità. Renato Serra, critico letterario che apprezzava la sua poesia schiva ed appartata ne traccia un ritratto: “ Se vi cammina davanti, tarchiato nella sua statura mezzana, con quella impostatura così spiccata del petto, che si dondola un poco assecondando con le spalle e le braccia corte il moto risoluto del passo, del collo taurino, e la testa forte sotto il cappello largo e molle, egli è uno dei nostri agenti di campagna, un fattore del più buon ceppo romagnolo. Ma si volta; vi guarda , vi parla…Non possiede quella forza di penetrazione e di imperio che incatena gli interlocutori; i suoi occhi grigi vagano come nella nebbia di un sogno, quando pare che sia più vicino ecco che è più lontano; sfugge a ogni momento. “
La sua vita è stata appartata, ordinaria, quasi banale, trascorsa in un sostanziale isolamento, ma la sua poesia, come ha intuito Gianfranco Contini, ha i tratti della modernità che lo collocano tra i più significativi poeti del ‘900 italiano ed europeo.
E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d’arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimaneggiò rinfranto,
e poi svanì. Soave allora un canto
s’udì di madre, e il moto di una culla.
( Myricae, sezione Tristezze)