Città di mare – Ultima parte

(Gabriella Maggio)

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Ormai s’è fatto buio, il telefono è sempre muto, la vicina sembra scomparsa. Silvia si cambia, si mette gli abiti migliori per non lasciare in quella casa qualcosa che le piace indossare. Non vuole prendere il borsone, vuole dare l’impressione, se qualcuno la segue, di essere uscita a fare due passi. S’avvia per strade secondarie che intersecandosi a poco a poco la guidano al porto della città. Cerca la biglietteria. Acquista il biglietto per una poltrona, perché le cabine sono tutte prese. L’imbarco comincia alle venti e trenta, ma si salpa alle 21.15. Mangerà a bordo. Ha tempo per guardarsi intorno. Il porto è diviso in due, da una parte navi merci e passeggeri, dall’altra imbarcazioni turistiche, alcune molto belle e costose, adatte a lunghe traversate. C’è poca gente, qualcuno armeggia sul pontile di una bella barca cabinata con due alberi, sta caricando provviste, acqua minerale, vino, pasta. S’indovina la merce attraverso i sacchetti di plastica. Silvia si avvia lentamente all’imbarco della sua nave. Si metterà su un ponte per guardare. Sono saliti pochi passeggeri.

S’affaccia alla ringhiera del ponte più basso, le pare così di essere meno visibile. Guarda distratta le piccole scene sempre uguali dell’imbarco passeggeri. Per caso alcune voci attirano la sua attenzione. Una coppia di sposi ancora in abiti nuziali s’imbarca accompagnata da parenti che parlano a voce alta. Sembra tutto così falso, un’ostentazione sciocca, pensa Silvia. Si smuovono i suoi ricordi più tristi. Il vestito da sposa l’aveva quasi comprato. I parenti già raccoglievano i soldi per il regalo. Poi tutto era finito nel giro di un’ora e la sua vita aveva svoltato senza che se ne accorgesse. Era diventata un agente dei servizi. Quelli che la gente comune definisce sempre deviati, così tanto per dire qualcosa, perché la via dritta e la deviazione non sono in senso assoluto, ma relativo ad ogni situazione. Anche lei, a seconda di come si conclude, se pure ha una conclusione, il caso Draghinelli, può essere presentata come deviata o in carreggiata. Sempre di più è certa d’essere soltanto una pedina da spostare. I capi, che lei sicuramente non conosce, decidono secondo l’opportunità personale o collettiva. Vi sono poi obblighi contratti con altre parti dello Stato che talvolta impongono una svolta che lascia perplessi gli addetti ai lavori, figuriamoci gli estranei. Sono già le 21.00, senza badarci Silvia guarda verso il porto turistico che dall’alto le appare abbastanza vicino. Una coppia avanza sulla banchina a passo svelto, illuminata da un lampione. Tutti e due portano una borsa capiente a tracolla. Hanno qualcosa di familiare e nello stesso tempo di misterioso. Il viso è nascosto da cappelli estivi a cloche ed occhiali scuri. Passano svelti sulla passerella ed entrano nella cabina del due alberi sul quale poco prima un uomo sistemava le provviste. Silvia crede di vedere la coppia della mattina camuffata e protetta dal buio. Adesso la sirena della nave annuncia la partenza. Silvia fa in tempo a vedere che l’uomo salito sulla due alberi prepara la manovra di partenza. Ma la nave è più veloce oppure ha la precedenza nelle manovre ? Silvia è delusa, ogni volta che si trova sul punto di scoprire qualcosa c’è un ostacolo messo lì con determinazione da qualcuno o un fatto assolutamente normale come la partenza della nave e le norme di circolazione nel porto. Un po’ distante da lei , di spalle un uomo parla al cellulare – Sì, mi sembra che tutto sia a posto adesso – Poi si gira – Ciao Silvia, che ci fai qui ?- E’ Alberto, il suo collega di corso. –Niente di speciale, sono venuta a trovare un’amica che sta male. – E tu ?- chiede Silvia. – Anch’io niente di speciale, ho sistemato una pratica d’eredità. Ceniamo assieme ? –

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