Un testimonio del nostro tempo
(Carmelo Fucarino)
Dal suo album
Fra due tappe, il primo reportage del 1955 e la fondazione nel 1969 della Sellerio Editore, si è sviluppata l’intesa sua vita, dedicata alla memoria. Perciò per i funerali laici di Enzo Sellerio non poteva esserci scrigno più adatto dell’Istituto di Storia patria, luogo della memoria storica dell’isola, addossato al San Domenico, Pantheon dei Siciliani. Fotografia e parola, la prima a fermare il tempo in uno scatto, l’altra volta a eternare il pensiero meditato, ma sempre nell’accezione specifica della “Memoria”. Questo il nome della gloriosa collana con la quale sorse la casa editrice, fondata nel 1969 da una chiacchierata con Leonardo Sciascia e Antonio Buttitta, e per l’entusiasmo culturale ed operativo della infaticabile Elvira. Quella collana con la copertina di un particolare blu, ove allora azzardai di dare alla luce un mio romanzo, ma per contingenze, a ridosso dell’impegno di lancio di Bufalino, non se ne fece niente. Sono state esse le due passioni che smentivano la fredda scienza del diritto, la scelta della sua laurea in giurisprudenza e nel 1947 a 23 anni l’incarico di assistente di Istituzioni di Diritto Pubblico.
Primo in ordine cronologico era stato l’innamoramento per l’immagine e la scelta della fotografia, come strumento di trascrizione della verità, l’arte ultima giunta e discussa e talvolta bistrattata. Anche questa volta dietro incitamento di un osservatore eccezionale, uno straordinario lottatore e protagonista della vita palermitana, quel Bruno Caruso, pittore e incisore, ma anche uomo di cultura e di grande impegno civile. Sarà anche negli anni successivi la sua attività prioritaria e a tempo pieno, con qualche fase di abbandono, come avviene per tutti i grandi amori, tra l’attesa del clik e la riflessione degli straordinari album e libri d’arte. Sono essi monumenti allo scorrere della vita, a partire dall’esperienza iniziale, si può dire neorealistica, senza richiamare fantasmi di esecrati indirizzi? Fu per prima quel Borgo di Dio (1955). Sembra di risalire alla paleontologia nel ricordare gli anni della Sicilia frastornata dalla rivoluzione sociale di Danilo Dolci, gli anni dei grandi predicatori, voci nel deserto, come pure il carismatico La Pira che mandava telegrammi a tutti i potenti. Qui tra Trappeto e Partinico faceva scandalo l’attività del Gandhi italiano, che si prometteva di “redimere” i derelitti dal degrado e dalla mafia con la non-violenza. Stordì la sua immagine, sdraiato e avvolto in una coperta e quel Carlo Levi accanto, quello di Cristo si è fermato a Eboli. Che anni di grande vitalità spirituale, mentre i politici erano conniventi con la mafia. Perciò l’ostilità, non esclusa quella della Chiesa, gli arresti e i processi. Che grandi uomini ebbe allora l’Italia del boom economico. Ora la miseria e il vuoto culturale sbalordiscono se si rievocano quegli anni e quegli uomini. E quella denuncia di Banditi a Partinico (1955). Furono gli anni in cui su Rinascita si dibatteva su impegno e disimpegno. Che angoscia per il vuoto odierno, quando il dibattito è intorno all’articolo 18 e alle false liberalizzazioni in un silenzio agghiacciante degli intellettuali. Ma ne esistono ancora? Poi l’avventura editoriale, la scommessa vinta che non solo a Milano, ma anche a Palermo poteva nascere e divenire nazionale e mondiale una editoria seria, senza le fughe di menti ad ingrassare l’industria culturale (?) del Nord, senza alibi di collocazione geografica (penso alla operosità di Mursia trapiantato).
Soltanto nel 2000 la prima sintesi completa dell’oggetto del suo primo amore, Fotografie (1950-1989) per le edizioni Motta, e con altro lungo intervallo fino al 2007 con la consacrazione ufficiale nell’Olimpo della fotografia nella prestigiosa Alinari, Fermo Immagine (Alinari IDEA). In mezzo Castelli e monasteri siciliani con testi di Gioacchino Lanza Tomasi nel 1997. Poi la nascita delle sue edizioni d’arte nel 1983, la chiarificazione del rapporto con la vecchia editrice e con la sua vita privata. Fra i tanti “coccodrilli” di amici vicini e semplici conoscenti che hanno inondato con un magma di ricordi e professioni di intimità i media di questi giorni, tra il “fotografo-intellettuale” di Michele Smargiassi o “l’americano a Palermo” di Piero Violante, mi associo a un ritratto di vitalità, il ricordo di un uomo che vive ancora e vivrà sempre tra tutti i Palermitani: «era bello come Majakovskij, leale come il gran Meaulnes, geniale come un Groddeck trapiantato in Sicilia, con radici allungate in mondi freddi e appassionati. Per me Enzo era Palermo, e per Enzo Palermo era una dannazione, da riscattare ogni giorno ironicamente o furiosamente» (Adriano Sofri). E il sapore di altri tempi, era nato nel 1924, ed episodi e personaggi romantici della sua vita. Il padre Antonio, radici a Geraci Siculo nelle Madonie, antifascista viscerale, matematico e ingegnere, fondatore della facoltà di Architettura, ma soprattutto fisico estroso in impari concorrenza con via Panisperna, perché con mezzi primitivi, uranio miseramente arricchito (al 20°) portato a dorso d’asino a Villa d’Orleans voleva creare il suo reattore nucleare; la madre Olga Andres, ebrea di Grodno, in Bielorussia con tutte le angosce negli anni bui. E la sua ironia. Celebre l’invito al Cristo Pantocratore, «Signor Pantocratore sorrida», durante il suo straordinario servizio al Duomo di Monreale, le sue didascalie esilaranti alle foto. La sua grande umanità.