La “gaia scienza”

(Carmelo Fucarino)

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Si può fare un giro di danza sul palcoscenico del festival di Sanremo con la bellissima e dolce Laetitia Casta in una serata di canzonette, se si è un virologo, genetista e biologo di fama mondiale? E può fare questo affronto alla scienza paludata e seriosa, uno sberleffo ai tanti parrucconi rinchiusi nelle loro torri di avorio, che perciò storsero il muso o peggio, lo irrisero? E si può se questo turbine di luci e suoni è affrontato da un vecchietto di 85 anni? Era allora il 1999 e Renato Dulbecco era nato nella desolata Calabria, a Catanzaro, il 22 febbraio 1914, a quasi tre mesi dallo scoppio di quella catastrofe mondiale. Beffa del suo immenso cuore che lo ha voluto tradire il 20 febbraio 2012 (strabiliante ricorrenza l’ultima serata del Festival il 18 febbraio), ad appena due giorni del suo 98° compleanno a La Jolla in California, presso quella struttura che aveva visto sorgere nel 1962 su idea di Jonas Salk, funzionale anche nell’architettura all’esigenze dei ricercatori e dove avrebbe vissuto dopo le ricerche di Glasgow l’esperienza affascinante della genetica tumorale e del genoma umano.

E ancora, poteva esibirsi sul palco allucinante di stelle e stelline di musica leggera uno scienziato che nel 1975, ad appena 61 anni, era stato insignito dal re Carl XVI del premio Nobel per la medicina? Avrebbe potuto Dario Fo, il clown, che lo ha ottenuto con sommo scandalo per i letterati che si incoronano nelle loro ermetiche consorterie autoreferenziali. Se si considera la miserella sorte dell’ultimo festival schiacciato da farfalle inguinali e banali nudità, ma soprattutto occupato, invece che dalle canzoni, dalle perfomance di parole in libertà del molleggiato, “un cretino di talento”, secondo l’impareggiabile Giorgio Bocca, quel festival di Fabio Fazio, oltre alla presenza dell’attrice cult del tempo, ebbe anche la visita di Michail Gorbačëv. Eppure Dulbecco ai sorrisetti e al dileggio degli accademici, al clamore mediatico, rispose: «Non m’interessa un fico secco di quello che i miei colleghi e i giornali hanno detto e scritto della mia presenza a Sanremo: m’importa di fare quello che io ritengo giusto e utile».

Sì, se lo spirito della vita si irradiava in quel sorriso dolce ed aperto, se si è lottato per un’intera esistenza alla ricerca di un’arma per sconfiggere il male per antonomasia, come un tempo la peste e il colera. C’era stato un altro sberleffo più plateale quella lingua divenuta simbolo di umanità di un altro spiritoso ironico genio, Albert Einstein. Perché il genio sa restare bambino e osservare con l’occhio dello stupore infantile.

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Perciò voglio per lui riutilizzare un’immagine di allegria, il dono divino delle anime candide come i poeti, quella formula assiomatica, Die fröhliche Wissenschaft, La gaia scienza, che Friedrich Nietzsche aveva recuperato nel 1882 dai trovatori: «il concetto provenzale della gaya scienza, quell’unità di cantore, cavaliere e libero pensatore con cui la meravigliosa precoce cultura provenzale si staglia su tutte le culture dell’ambiguità; e l’ultima poesia "Al Mistral", una ballata sfrenata in cui, con permesso!, si danza al di sopra della morale, è un perfetto provenzalismo» (da Ecce Homo). Perché dal suo sorriso e dalla sua voglia di vivere nascesse una speranza per gli odierni condannati a morte della natura impazzita, dal quel volto da Mister Magoo, come lo vide Michele Serra: «Divertirsi non è peccato, e poi mica vado a cantare. Darò una mano a Fazio a presentare qualche cantante», (Il Giornale). Quella stessa affabilità e solidarietà laica che inonda il cuore di speranza davanti alla chioma bianca di Rita Levi Montalcini (Torino, 1909), offesa dalla truculenta becera ignoranza di una parte politica, ma vicina a tutti coloro che amano la scienza, quella realmente e veramente indirizzata alla vita. Anche lei premio Nobel per la medicina nel 1986 per la scoperta e l’identificazione del fattore di accrescimento della fibra nervosa o NGF. Lei, prima donna e per di più ebrea ad essere ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze. Un giorno del 1947 si incontrarono su una nave che li portava negli Stati Uniti, lei a St. Louis alla Washington University, lui a Bloomington (Indiana) all’istituto di Luria, e facendo lunghe passeggiate sul ponte parlarono «del futuro, delle cose che volevamo fare: lei alle sue idee sullo sviluppo embrionale e io alle cellule in vitro per fare un mucchio di cose in fisiologia e medicina».

Un pensiero riguardo “La “gaia scienza”

  • 22 febbraio 2012 in 21:24
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    Val la pena ricordare che il Prof. Dulbecco donò l’incasso ottenuto dalla partecipazione al festival di Sanremo ( 50 milioni cr. ) alla Fondazione Telethon e servì per fondare il Dulbecco Telethon Institute che oggi gestisce 20 laboratori di ricerca sparsi in tutta Italia.

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