Storia di due soldati- Seconda parte
(Eleonora Salvaggio)
Prese una decisione. Invece di aspettare aiuti che non sarebbero mai arrivati, volse gli occhi al cielo e pregò che un lampo squarciasse le tenebre al più presto. Così accadde. Ecco quello che stava aspettando. Poggiò le mani per terra in modo da potersi dare una spinta e si preparò a muoversi. La luce tremolò, stava per scomparire. -Qui è il comando. Attenzione, a tutti i soldati ancora impegnati negli scontri: ritiratevi immediatamente. Bombardamento previsto fra pochi minuti.- La lampadina si spense, così come la radio. La notizia lo fece rabbrividire più della folata di vento gelido che la seguì. Doveva andarsene subito.-Ehi, tu, laggiù!- La pioggia continuava a cadere, imperterrita. Trascinava via fango, proiettili, foglie: i corpi dei caduti ne erano ricoperti, ed era come se fossero stati sepolti. Chissà se sarebbero rimasti abbastanza fango, proiettili e foglie per nascondere anche il suo, dopo il bombardamento.
-Soldato!-
Chiamava l’altro sperando che lo sentisse sopra tutto quel frastuono di tuoni e vento. Lo chiamava sperando che ascoltasse, almeno lui sarebbe tornato dalla sua famiglia.
-Sono disarmato!- Buttò lontano il fucile: era sicuro che lo vedesse attraverso il mirino, perchè allora non sparava? Perchè non si avvicinava? Non c’era più tempo!-Stanno per bombardare!-
Perchè non gli rispondeva? Non lo poteva sentire? Non lo capiva? O forse la novità l’aveva lasciato di stucco, immobile, incapace di ragionare, atterrito quanto lui?
-Mi posso fidare?-
Eccola, la voce del suo nemico. -Si, puoi.- -Alzati in piedi, fatti vedere!-
L’uomo protese istintivamente il braccio verso la gamba. Strinse i denti.
-Non posso!- L’ultima cosa che si aspettava a questo punto era che il nemico si avvicinasse, così quando lo sentì attraversare lo spiazzo fangoso che li divideva fu preso alla sprovvista. Ed eccolo il suo volto, proprio come se l’era immaginato: scuro, sporco, indurito. Ma quella che non si aspettava di vedervi era la paura. Si chiese se anche lui avesse quell’aspetto.
-Quando arrivano?- -Fra pochi minuti.-
Non erano affatto diversi. Gli occhi e i capelli erano identici: castani, lunghi, bagnati. Erano entrambi magri e slanciati, con divise consumate e stivali neri. L’unica differenza era il colore degli stemmi.
-Fra pochi minuti…- Il cecchino si prese la testa fra le mani. -Pochi minuti…-
Era terrorizzato e non riusciva a pensare. Nella mente si accavallavano immagini sfocate del suo paese e del padre. Catturò la sua attenzione una vecchia cartina appesa al muro. -C’è uno dei nostri accampamenti, poco lontano da qui. Se corriamo…- Indugiò con lo sguardo sulla gamba del soldato. -Sei ferito.- Anche il soldato guardò la gamba. Non sarebbe potuto andare lontano.
-Non ti preoccupare, vai- Il cecchino rimase fermo dov’era, a fissarlo. Perchè non si muoveva? -Cosa aspetti? Vai, prima che sia troppo tardi!- L’altro spostò il peso da una gamba all’altra e fece per uscire, poi ci ripensò e tornò indietro. Riprese a fissarlo, poi chiese: -Ce la fai almeno a muoverti?-
Il soldato lo guardò adirato e si chiese perchè mai non se ne fosse già andato.
-No, penso proprio di no.- -Beh, proviamo, eh?-