Natale a Palermo
(Carmelo Fucarino)
Dopo le due serate alla scoperta delle Chiese di San Mamiliano e di Santa Maria in Valverde, dove il pianista Todor Petrov ha aperto una finestra sulla musica popolare russa e non solo (da Glinka a Čajkovskij, fino a Bellini e Donizetti), dopo la serata a palazzo Mazzarino un vero e proprio festival di Piedigrotta con coro fuoriscena, il Natale di “Itinerari culturali tra arte architettura e musica”, sostenuto da una diecina di istituzioni, tra i quali il nostro Lions Palermo dei Vespri, ha trovato il momento più alto e consono al tema natalizio nella serata del 30 dicembre, protagonista la collaudata Orchestra da Camera “Salvatore Cicero”, diretta da Luigi Rocca.
Ci sono nella vita dei momenti magici che ci riempiono di stupore e di incanto, momenti che si imprimono nell’anima e danno un significato alla vita intera. Questa magia ha evocato in me il connubio artistico del luogo e dell’interpretazione musicale. Quel paradiso di miracolo architettonico mi avvolgeva interamente, con la varietà delle iconografie e dei colori, il bianco candido della statuaria in stucco, la varietà cromatica degli splendidi marmi mischi (“in guisa che senza pennello sembra opera di pennello”, scriveva Mongitore), l’opera realizzata in cento anni da tutti gli artisti e le maestranze locali, come ha illustrato l’architetto Giacomo Fanale. Riandavo nella memoria alla scoperta di questo scrigno d’arte, ancora giovane e inesperto d’arte, una mattina in cui la luce entrava timida nella chiesa e mi avvolgeva un tenue chiarore, quel senso di protezione e di meditazione, che doveva suscitare nei fedeli, secondo la mistica gesuitica. Ora nel fulgore delle luci notturne, lo slancio e l’abbandono al divino, la sensazione dell’ascesi oltre la fragilità e l’angoscia, la piena realizzazione dell’estasi, l’ekstasis divina che è “star fuori di sé” per diventare come dio. Si può esseri liberi dai dolori del corpo e dello spirito, immersi nella dolcezza catartica dell’arte. Ora nello splendore della Chiesa del Gesù, più nota come Casa Professa, l’abbandono sulle note dei Mozart. Per cominciare il padre Leopold, con la sua sinfonia in G maggiore (Allegro-Andante-Allegro), forma ancora immatura del genere musicale più sublime fra tutti. Si sviluppa ancora in tre tempi, secondo la prima codificazione secentesca di Haydn e Bach, eppure essa è vibrante per colorismo tonale e per straordinaria padronanza della tecnica, con quegli attacchi risoluti e le riprese del dialogo strumentale soprattutto nell’Allegro iniziale. La genialità del figlio ha offuscato la bravura e la fama europea del padre. Ma le capacità esecutive e interpretative dell’ensemble si sono espresse, senza sacri timori, nei due capolavori del Mozart figlio. Primo banco di prova il Concerto per violino e orchestra n. 5 in La maggiore K219 del 1775, quando Wolfgang aveva diciannove anni, forse il più grande, certamente il più eseguito dei concerti per violino del compositore. Qui il Mozart, pure esperto violista, poté mostrare la sua perizia nello strumento solista, come ha mostrato eccellentemente la bravissima Federica Rocca che ha vibrato all’unisono con il suo strumento nel suo esile corpo teso come le corde del suo strumento. Sulla bellezza melodica complessiva, sull’opposizione dei movimenti, sulla nitidezza dei temi ripresi e sviluppati fino alla nausea (come nell’Allegro iniziale), sull’estrema e criticata ricercatezza dell’adagio, sulla complessa struttura ciclica del Rondò-sonata, non occorre dire, data la celebrità del concerto, del quale tutti nella nostra vita abbiamo spesso goduto. Ma ancor più poco abbiamo da dire sulla purezza della celeberrima Ein kleine Nachtmusik, la divina serenata in Sol maggiore K 525, il notturno del 1787, tra i capolavori di Le Nozze di Figaro (1786) e il Don Giovanni dell’ottobre 1787.
Nello sviluppo onirico dei quattro tempi realmente architettura e musica si sono fusi e ci si è sentiti trasportati nell’Empireo, fra quegli angeli che commentavano la bellezza divina e che sorridevano da ogni lato, davanti e intorno, dai candidi stucchi del Coro e delle navate. Un osanna a Dio che ha ispirato all’uomo simili miracoli, il solenne battere dell’allegro, nel cullare dell’andante della Romanza, nel tripudio del minuetto e del rondò finale. Non poteva essere meglio santificato il Natale di Cristo, in questa immersione integrale nel divino, in una chiesa, come non mai è avvenuto, piena quasi al completo, che ha sopperito all’assenza di qualche titolato.