Domenico Tempio e la poesia del piacere. Ultima parte
( Tommaso Aiello)
Sul valore artistico di Lu Veru Piaciri di Domenico Tempio in vario modo si sono espressi i critici, non molti in verità. Angelo Emanuele,il primo vero studioso del poeta esaminando il poemetto,avverte come il Tempio<<descrittore meraviglioso…gareggi per la vivacità della sua tavolozza col Poliziano,con l’Ariosto,e col Tasso,pur conservando un sentimento profondo del reale….Il sentimento della natura ne Lu veru piaciri è moderno,il poeta riproduce il paesaggio nei suoi particolari più caratteristici,sì che sembra di vedere un quadro pennelleggiato con mano maestra da eccellente paesista:dico un quadro e non una scena,perché tutto in esso vive,si muove,varia.Albe e tramonti,cielo sereno e nuvoloso,mare in tempesta o in bonaccia,terra arida o verdeggiante,tutto il Tempio rifà nelle sue ottave sonanti e perfette,con sentimento vivo e schietto>>!
Natale Scalia poi si lascia trasportare da un vero,sincero entusiasmo affermando che la cosa migliore del Tempio,per nobiltà di concetto,per gentilezza di forma e per splendore d’immagini, è senza dubbio il poemetto”Lu Veru Piaciri”.Nel poemetto Micio Tempio aveva illustrato Catania nei suoi monumenti e nei suoi figli più nobili,e nella campagna fertile dei doni di Cerere l’aveva persino giubilata in quei patetici resti archeologici che avrebbero dovuto adornare,e non adornarono,la Villa al Borgo.Quando l’Amor di Patria ritorna alla luce,s’imbatte,alla Porta di Jaci,in Pallade.Catania è ormai in preda al furore di Don Litterio e della Sciancata;bisogna salvarla la patria!E per questo,la Dea della Sapienza,la protettrice della città,va in cerca della perduta Pace.
Esisti,e nun è favula,
ntra sta terra un remotu
locu,ch’è a lu gran numeru
di l’omini non notu;
Romitu e sulitariu,
divisu dall’insani
strepiti e da li turbini
di li facenni umani.
Ritiru beatissimu
in cui s’ammuccia e veni
di savii un scarsu numeru
e qualchi omu dabbeni.
Ntra st’unicu ricoviru 8
scanza lu veru saggiu
di li corrutti omini
la pesti e lu cuntaggiu.
E’ qui che Pallade rintraccia il vero Piacere;quel vero Piacere che,per il mondo,era morto e sepolto:LA QUIETE. Mentre la Felicità rinvenuta all’ombra di un pergolato rigoglioso,lontano dagli affanni ,è pienezza del godimento del piacere.
Luntanu da lu munnu e soi malopri
sutta un celu benignu a la friscura,
supra un locu eminenti unni si scopri
fra un immenzu orizzonti la natura.
E li vicini colli,chi ricopri
rallegranti gratissima virdura,
in cui Filenu e la vizzusa Clori
di sua innocenza incantanu li cori,
in grembu di la Paci e l’Amicizia,
in leta menza,in abitu campestri,
in puri scherzi,in cui nun cc’è malizia,
postu di cantu ogni cuntegnu equestri,
e fra l’amenità sparsi a dovizia
di rosi e gigghi e pallidi jjnestri,
sutta una stanza semplici e pulita,
campa lu saggiu e godi di sua vita.
Quegli spettacoli naturali,ora sereni e rasserenanti,ora drammaticamenti tragici,folgorano immagini indimenticabili.La campagna che si distende sulle pendici ai piedi del vulcano ammantato di neve inonda di inconsuete meraviglie i nostri occhi tanto che il paesaggio finisce per cedere il posto a se stesso e gli orti ai giardini,e le messi agli uliveti,e le colline ai fiumi serpeggianti sulla piana,e i terreni scapoli alle colture pettinate dall’erpice.Ma la tempesta fragorosa del mare sconvolto è lì a ricordare che la natura,se vuole,può anche sconvolgerti il cervello e il cuore:
Già in Austru feru,nuvuli a catasti
in celu ammunziddau scurusi e mesti,
e di l’aria annigghiau li campi vasti
fra lampi e trona e strepiti funesti;
si sintia l’ostinati aspri cuntrasti
di atroci venti,furiusa pesti,
e fra lu scuru d’atra notti,oddiu!
lu celu d’ogni parti si cusiu.
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Li trona nun su’ chiù luntani e tardi
né comu prima spaziusi ed urdi:
fannu scoppiu di brunzi e di bummardi
orrendi,e già li sentinu li surdi;
ora pari chi l’aria abbrusca ed ardi,
o chi lu celu si scunquassa e sburdi;
e ch’ora arruzzulassi ccu ribunnu
nna badda immenza di pisanti chiummu…..
Questo è realismo,o verismo o naturalismo,
se vogliamo,ma soprattutto frammento di
altissima poesia. Arrivo di una tempesta.(foto Aiello 1992)
<<Tutt’a un tratto,scriverà più tardi il Verga nella sua tempesta,si era fatto oscuro che non si vedeva più neanche a bestemmiare.Soltanto le onde,quando passavano vicino alla Provvidenza,luccicavano come avessero gli occhi e volessero mangiarsela>>.
Eppure quel cielo tempiano che si cuce da ogni parte te lo senti gravare tutt’attorno come una pesante cappa di pece in una notte di lupi. Se Giovanni Meli,come abbiamo detto prima,è il maggiore rappresentante dell’Arcadia siciliana,Domenico Tempio è l’interprete più efficace di quei fermenti rinnovatori penetrati in Sicilia nel corso del secolo XVIII e l’impulso naturalistico che seppe imprimere alla cultura siciliana tra Sette e Ottocento determinerà sullo stesso piano morale e nello stesso ambiente catanese la ripresa veristica di fine secolo.