Domenico Tempio e la poesia del piacere
Seconda parte
( Tommaso Aiello)
Ritratto di Giuseppe Gandolfo
Noi ci occuperemo di un aspetto della produzione del Tempio, quello che riguarda la poesia del “Veru piaciri” . Per il vino della botte di Domenico Tempio (Catania-1750-1821)non cercate altra etichetta,osserva Santo Calì,che non sia quella della genuinità o, se volete,della denominazione d’origine. E non fategli indossare livree che non si addicano alla sua taglia e alla sua fedeltà. Nella premessa alle opere pubblicate a Catania nel 1814,dalla stamperia degli studi regji, D.Huot lo mostra arguto e sereno indagatore del fatto naturale,della pioggia che lecca le pietre o dell’erba che cresce in silenzio,del flutto che travolge e sconquassa il fragile molo del porto o delle divine forme di una Venere d’alabastro che sorge dalle schiume del mare della Plaja. La poesia del Tempio,in uno dei suoi nuclei essenziali, è la poesia del piacere sensibile; è la celebrazione,vagamente mariniana,dei sensi del corpo,prima dello spirito;e perciò dell’udito e del tatto,dell’odorato e del gusto e della vista;ma soprattutto del piacere, sensibile e sensitivo,dell’amore,che lega e compendia tutti gli altri sensi in sé,avviluppandoli o dissolvendoli. La stessa”Carestia”(che è considerata l’opera di maggiore impegno del Tempio;pubblicata postuma nel 1848, in due volumi,dal catanese Felice Sciuto)rientra, per un verso,nel gioco delle illuministiche intenzionalità tempiane,sottintese o scoperte che siano;perché il poema non canta se non il piacere frustrato nelle sue richieste più elementari.
L’improvvisa cieca ribellione,le idee di uguaglianza,di fraternità e della stessa libertà sono corollari in funzione dell’assioma;la problematica sociale,se c’è,è un elemento di struttura ancora troppo fluida,perché la si possa considerare come una delle componenti,o delle istanze,più avvertite del Poeta e dalla folla sorda del proletariato e della piccola e media borghesia,in mezzo alla quale il poeta si aggira ed opera. Ma torniamo alla poesia del piacere sensibile.Resta da vedere cosa siano il piacere ed i piaceri e come si possano distinguere i piaceri reali da quelli illusori,in che cosa infine consiste,una volta individuato,il vero piacere.Il vero piacere sarà l’istinto naturale?O,per meglio dire,il godimento di quei beni,cui l’istinto naturale appetisce?Certamente.Riportiamo due ottave da “L’Amuri vindicatu”.
Ma lu cori è lu nidu
di li passioni;e si livati chisti
l’omu addiventa un truncu;ed havi ogn’omu
li soi,chi li dimustra
nelli varj piaciri e li diletti,
e cui ntra li sorbetti,cui ntra un pranzu,
cui ntra pastrizzi e cui ntra nna taverna
sapi truvarli a trippa cotta e vinu.
Curri lu cacciaturi unni lu porta
lu so piaciri.Li nuttati oscuri
passa lu jucaturi unni l’ammutta
la passioni so.Iu vaju appressu
li donni,ed iddi sunnu lu miu pastu,
e curru ad iddi in sentirmi lu rastu:
Perciò nelli passioni
e nelli gusti,chi diversi sunnu,
iu fazzu zoccu fa tuttu lu munnu.
Quando sia stato scritto il dramma che vede l’Amore vendicato non lo sappiamo,così come non sappiamo quando sia stato composto,e per chi,il lungo agile epitalamio che si sugella del nome della Primavera.Interessa di più il momento culturale in cui i componimenti abbiano dimenticato la stessa data della loro nascita per vivere al di fuori della rigida cerchia della contingenza e dei contingenti. Nella Primavera il leit motiv che sollecita il piacere viene intonato,sin dalla prima strofe,nei metri consueti dell’Arcadia:
Comu trovi in chistu munnu
varj sempri li piaciri,
in gustarli accussì sunnu
varj ancora li pariri.
L’introduzione semplice ci porta immediatamente al nocciolo dell’argomento:considerata la varietà infinita dei piaceri,come e soprattutto quando conviene assaporarli?E,di conseguenza,qual è la stagione più propizia in cui gli amanti,i devoti più convinti del piacere,possono compiutamente<<exercere suam juventam>>?(Il Tempio conosce anche Catullo oltre la letteratura precedente e quella a lui contemporanea).Certo che il piacere va fruito nel suo continuo farsi e raffinarsi:non v’è dubbio che la primavera rappresenti l’habitat e l’optimum,perché la selva amorosa esploda in tutta la sua incontenibile<< lussuria>>.
Nell’età ch’amuri senti
Lu so cori cedi vintu;
nun si mustra renitenti
Dolcezza e bellezza sono anche gli attributi della Beatrice dantesca e sono attributi dell’istinto, anch’esso verità e da Lucrezio riprende:
Primavera!E cui nun senti
lu to focu ch’innamura,
e li tratti più eloquenti
di la vuci di natura!
Tu distilli e tu mi spiri Lo plendore della primavera(foto Aiello)
ddu languri e tinnirizza,
a cui l’alma di piaciri
nun resisti e di ducizza.
Tuttu ama:un duci affettu
prova ogn’omu chi l’invita
ad amari,e senti in pettu
nova forza e nova vita.
La poesia del piacere sensibile indulge poi alla vista e all’odorato; ed anche al tatto;abbaglia le pupille,dilata le narici,invita la mano alla carezza;se sfiori il seno della donna amata vi coglierai il polline di Venere.