Domenico Tempio e la poesia del piacere
( Tommaso Aiello)
Eccomi a voi,carissimi amici,dopo la lunga parentesi estiva,per continuare un discorso già intrapreso in precedenza:la valorizzazione della Sicilia e della sua cultura. Pertanto il tema che continuerò a seguire sarà: Sicilia -Terra di culture. In particolare seguirò la traccia che abbiamo indicato in un recente convegno che ha coinvolto i Club Lions delle province di Palermo e Trapani. Lo scopo dell’approfondimento delle varie culture che si sono susseguite nei secoli e si sono manifestate nei vari campi del sapere umano, della sua ingegnosità, della sua creatività,ha come obiettivo finale,che ho perseguito da tanti e tanti anni, quello di valorizzare il nostro patrimonio culturale che si è manifestato in tutti i campi,e questo per spingere i nostri governanti a dare impulso più costante e coerente al turismo culturale che in questi ultimi anni ha avuto un notevole incremento, ponendosi talvolta anche come alternativa al turismo semplicemente vacanziero. La Sicilia,come tutti sanno,possiede il 9,4% dei beni culturali di tutta l’Italia e ben il 30% dei siti archeologici. Noi vogliamo spingere a valorizzare la nostra cultura che offre aspetti di grande rilievo nel campo letterario,musicale,delle arti figurative,delle tradizioni popolari,della enogastronomia. L’obiettivo è certo molto ambizioso, ma se ci crediamo possiamo anche dare sbocchi di tipo economico che non arrivano più dalle nostre industrie che hanno perso definitivamente il raffronto con la concorrenza non solo del Nord ma anche straniera. Il nostro piccolo e modesto esempio speriamo sia seguito da tanti altri studiosi e soprattutto dalla classe politica che con la sua “fragilità”non ha saputo dare sbocchi positivi,privilegiando sempre l’assistenzialismo e il clientelismo e facendo quadrato sui propri diritti acquisiti. Vorremmo che i politici più illuminati facessero proprie queste idee e capissero che,se speranza c’è di un decollo economico,questo è dato solo dal potenziamento del turismo, e quello culturale è gran parte di esso.
Ricominciamo col presentarvi un poeta catanese del Settecento, Domenico Tempio, oggi sconosciuto ai più, ma che assieme a Giovanni Meli rappresenta il punto di riferimento più alto della poesia dialettale siciliana. Il Tempio è da considerare anche il maggiore poeta riformatore siciliano,la cui voce si leva contemporaneamente a quella del Parini. Egli fu ammirato e lodato dai suoi contemporanei,ma dopo la sua morte la sua opera fu quasi dimenticata,tranne alcuni componimenti di carattere licenzioso che,pubblicati alla macchia,gli diedero ingiusta fama di poeta pornografico.
Domenico Tempio,incisione del francese D.Huot,1814.
Egli è dotato di una sana e robusta mascolinità e di un linguaggio un po’ scurrile e licenzioso che è cosa ben diversa dalla pornografia. Tra i”pornografi” del sette-ottocento, il Tempio è indubbiamente il meno scabroso,il meno sadico,il meno fanatico,il più timorato di Dio. Anche perché le sue proposizioni e le sue invenzioni erotiche mai si prefiggono di perseguire inconfessati ed inconfessabili finalità;la predicazione oscena del catanese esclude da sé la istanza del proselitismo. Il Tempio tratta la materia licenziosa con il distacco del saggio che ne conosce pienamente le insidie e gli allettamenti,e perciò la domina come e quando crede, sottoponendola al gioco delle sue illimitate risorse poetiche, dissacrandola a suo piacere. Sino a fare la parodia della “pornografia” stessa. E ci riesce come nessun altro. La scabrosità degli argomenti,la paura della scomunica,la difficoltà di una giusta interpretazione dei testi dialettali ha dissuaso i”catoni” nostrani dal concedere un qualsiasi diritto di cittadinanza alle composizioni erotiche del Tempio. Persino Leonardo Sciascia non è riuscito a capire la sostanza di questo aspetto della poesia del Tempio e la licenzia con qualche saccente battuta:”Si tratta, senz’altro,di pornografia:ma non priva di quel pirandelliano candore in cui Moscarda,protagonista di <<Uno,nessuno e centomila>>,si abbatte nella nausea cosmica da cui infine la solitudine lo salva….”Da noi è mancato un Guillaume Apollinaire, sia pure in sedicesimo.