Se l’Aleph … e l’anello di fuoco …
(Carmelo Fucarino)
«O Aleph! Anch’io ho provato il brivido di un appagamento a Santiago, mi è stato permesso soltanto di bramare l’immersione atemporale nella Transiberiana. La storia dell’Occidente ha inizio con il Nostos di Odisseo, il primo ritorno alla madre terra, e poi ancora la ricerca-ritorno di Enea alla terra promessa, attraverso la dolorosa discesa agli Inferi. Diverso il ritorno di Mosè alla terra promessa da Javhé. Anche se non credevo alla reincarnazione e non ci credo ancora. L’Epifania nell’Aleph, il periglioso e doloroso viaggio interiore mi ha sconvolto e segnato, la sua esperienza ha lasciato una profonda lacerazione, un desiderio di immergermi in quell’acqua, di trovare la luce e la via. Se il libro porta un bagliore nell’arcano della vita. Io, da Palermo, sono riuscito a cogliere l’anima del mondo nell’esperienza mistica di Aleph. Grazie allo scrittore taumaturgo…».
Questo commento ho inviato in «Aleph comentários-comments — Paulo Coelho’s Blog» (postato October 22).
Perché nessun libro mi aveva finora coinvolto emotivamente e psichicamente, dopo i turbamenti giovanili delle Affinità elettive di Goethe, di Anna Karenina, della Sonata a Kreutzer fino alla Resurrezione di Lev Tolstoj. Un senso di adesione e di sbigottimento profondo nella magia del Nostos verso il baratro dell’animo umano, il «terzo cammino sacro», come egli dice, indicatogli da J., la sua misteriosa guida nella Tradizione magica. Chi può varcare quella soglia oltre la quale la storia diventa orrore, profondità di trauma che si materializza in quell’autodafé, attraverso la tregenda del processo farsa e l’odore della carne bruciata? Ma giustamente nel blog dell’autore la pagina che più ricorre è la gloria della preghiera del perdono, richiesto e cantato dalla misteriosa violinista turca Hilal a Novosibirsk.
La traduzione uccide l’armonia del testo brasiliano, perciò tento l’originale:
– As lágrimas que me fizeram verter, eu perdoo.
As dores e as decepções, eu perdoo.
As traições e mentiras, eu perdoo.
As calúnias e as intrigas, eu perdoo.
O ódio e a perseguição, eu perdoo.
Os golpes que me feriram, eu perdoo.
Os sonhos destruídos, eu perdoo.
As esperanças mortas, eu perdoo.
O desamor e o ciúme, eu perdoo.
A indiferença e a má vontade, eu perdoo.
A injustiça em nome da justiça, eu perdoo.
A cólera e os maus-tratos, eu perdoo.
A negligência e o esquecimento, eu perdoo.
O mundo, com todo o seu mal, eu perdoo.
Eppure è l’ebraica lettera-numero (א) di Borges, l’aedo cieco che lo definisce «uno de los puntos del espacio que contienen todos los puntos» e che Paulo richiama ad inizio: «Il diametro dell’Aleph sarà stato di due o tre centimetri, ma lo spazio cosmico vi era contenuto, senza che la vastità ne soffrisse. Ogni cosa … era infinita, perché io la vedevo distintamente da tutti i punti dell’universo» (El Aleph, «El diámetro del Aleph sería de dos o tres centímetros, pero el espacio cósmico estaba ahí, sin disminución de tamaño. Cada cosa (la luna del espejo, digamos) era infinitas cosas, porque yo claramente la veía desde todos los puntos del universo»). Ma quei racconti mi avevano comunicato solo lo stupore dell’artificio e della bravura, i riverberi della Beatrice dantesca e dell’incarnazione omerica («Io, sono stato Omero; tra breve sarò Nessuno come Ulisse», Ennio alter Homerus?), ma non lo sperdersi nel Divino.
La verità del viaggio, che perciò allega la cartina, ma il percorso dell’Anima? Basta l’esistenza di quel non luogo di un treno, la piattaforma tra due carrozze, ove Paulo è sorpreso dall’Aleph? Lì «sono nell’Aleph, il punto che contiene tutti i punti, il luogo nel quale si trovano senza confondersi tutti i luoghi della terra, visti da ogni angolazione». Per capire cosa vi avviene bisogna immergersi con lui in questa dimensione, se se ne ha la capacità, come Hilal. Mi attraggono, anche se da lui sconsigliati per il pericolo, l’entrata nell’anello di fuoco che apre su tutte le altre nostre incarnazioni e l’esperienza dello sciamano del Baikal che ti rivela l’arrivo del Ki, l’energia che ci giunge in trance.
Tutto con Paulo ho provato e sono rinato, ma non so il perché. La sua esperienza mistica ha riempito il mio cuore in questi tempi di paura, la sua «paura della paura». Ho l’impressione profonda di una singolare iniziazione. Se penso che la madre lo fece internare tre volte in manicomio, nel Brasile del 1966-68 per le ribellioni scambiate per demenza e provò l’elettroshock per la sua pretesa di far teatro, ritenuto fonte di perversioni ed immoralità dalla borghesia brasiliana. Quella pazzia che nel 1976 lo rese libero dalle torture dei militari. Il ragazzo ribelle assetato di soprannaturale e mistico.