BORGES, LA SECONDA VISTA DI UN GIGANTE
(Gianfranco Romagnoli)
Compendiare in uno spazio limitato un ritratto di Jorge Luis Borges, sul quale sono state scritte intere biblioteche, è impresa molto ardua, alla quale mi accingo con umiltà. Chi era Borges? Molti lo hanno almeno sentito nominare e lo citano (magari senza conoscerlo), ma non altrettanti hanno letto e approfondito l’opera di uno scrittore, poeta e pensatore che è uno dei pilastri della cultura del Novecento, insieme a nomi come Joyce, Beckett, Kafka e pochi altri. Scarne note biografiche bastano ad inquadrare il percorso della sua lunga vita: nasce nel 1899 a Buenos Aires, dove trascorre la maggior parte della sua esistenza, e muore a Ginevra nel 1986. La mia asserzione sul suo valore può destare meraviglia in considerazione del fatto che si tratta di uno scrittore argentino, di un Paese, cioè, alquanto marginale nei circuiti internazionali della grande cultura; ma alcuni elementi della sua biografia varranno ad illuminare la portata mondiale della sua personalità di artista e di pensatore. Tra il 1914 e il 1918 soggiornò a Ginevra, frequentando il Collegio Calvino nel quale condusse approfonditi studi ed apprese varie lingue europee; fu poi in Spagna fino al 1921, data del suo rientro in Argentina. Molta influenza su di lui ebbe la nonna materna, Frances Haslan,.di origini irlandesi. Sta di fatto che la formazione culturale di Borges fu più europea che latinoamericana, e questo suo amore per gli autori di lingua inglese lo si ritrova in numerose sue opere ad essi dedicate, nonchè nella sua pregevole attività di traduttore. Uno scrittore internazionale, dunque, casualmente nato e per scelta familiare residente in un Paese lontano dal suo mondo interiore? No, assolutamente: egli è internazionale, ma anche profondamente argentino.
Abitò per tutta la sua vita a Buenos Aires, nel quartiere chiamato Palermo, ciò che dovrebbe rendercelo particolarmente caro. La sua prima opera, del 1923, è una raccolta di poesie intitolata Spendor de Buenos Aires, che, a suo stesso dire, prefigura tutta la sua opera successiva e dove traspare l’amore viscerale per la sua città, nella quale si identifica ed alla quale sono dedicate altre poesie sparse in altre opere, come L’altro, lo stesso ed opere come Cuaderno San Martin ed Evaristo Carriego, ove è compresa la Storia del tango. La sua “argentinità” emerge anche in poesie come El Gaucho (nell’opera El oro de las tigres) e nel racconto Martin Fierro, l’eroico protagonista di un poema popolare anonimo la cui storia fu il soggetto, nel 1952, del film statunitense Il grande gaucho. Il nostro D’Annunzio si definì “l’orbo veggente”; io definirei Borges “il gigante con una seconda vista”. La prima, purtroppo, la perse presto, ma ciò non gli impedì di “vedere oltre”. Ne fanno fede i temi delle sue opere, nei quali la realtà è frantumata, assume una dimensione “altra” nella quale emergono, insieme, la sua inconoscibilità ed il suo più profondo -e plurimo- significato ulteriore. Tra questi temi, trovo particolarmente affascinanti quello dello specchio e quello del labirinto, che esprimono al meglio la complessità della sua grande anima.
Con il peronismo ebbe rapporti tempestosi; al cadere del regime fu nominato Direttore della Biblioteca Centrale di Buenos Aires. Ebbe grande fama, numerosi riconoscimenti internazionali, tante lauree honoris causa, ma non gli fu mai attribuito il Premio Nobel, benchè la sua candidatura fosse ripetutamente proposta da vari ambienti culturali. C’è stato un tempo, alcuni decenni or sono, che tutti citavano ed esaltavano Borges, magari valorizzando alcuni aspetti più “alla moda” di taluni suoi scritti (zen e simili); oggi, la sua figura è caduta, non dico nel dimenticatoio, ma è stata troppo ridimensionata e pretermessa a favore di altri nomi. Una maggiore conoscenza di questo grande Autore, che nel mio piccolo spero di stimolare con queste note, varrà ad assegnargli definitivamente il posto eminente che gli spetta nella storia della cultura occidentale.