La Sicilia e le speranze di riscatto

(Carmelo Fucarino)

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Qualche mese addietro in fase di approvazione di bilancio il prof. Gianni Puglisi ebbe a lamentare, nelle alte stanze ministeriali della cultura, la completa ignoranza della gloriosa Società Siciliana per la Storia Patria, che nella sua secolare attività culturale, dalla fondazione nel 1873, ha visto come soci e attivi collaboratori anche ministri e primi ministri nazionali. La risposta a questo ironico apprezzamento romano è stata la presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla lectio magistralis, tenuta dal prof. Lucio Villari, ordinario di storia contemporanea a Roma Tre, nell’ambito del programma di Celebrazione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia che ha visto altri significativi convegni organizzati dalla Società. Fatto storico per essa in età repubblicana, ma anche eccelso riconoscimento per la cultura siciliana tutta. Nello splendido salone Di Maggio, dominato dal grande dipinto di Gino Morici sull’ingresso di Federico II a Palermo, stracolmo di tutte le autorità civili (sindaco, presidente Provincia e persino Lombardo) e militari e di un drappello della cultura palermitana la prolusione del Presidente della Società Gianni Puglisi è stata un’analisi puntuale della situazione socio-politica dell’isola, a cominciare dal suo Statuto tradito ai disastri del suo fallimento politico per incuria del governo nazionale, ma anche per irresponsabilità dei governanti locali, per l’assenza di una politica industriale e per le tragedie della mafia che egli ha martellato con un elenco di nomi di cadaveri eccellenti. Ma dal pessimismo della ragione e della realtà presente le speranze mirate a tanti tesori di beni materiali e immateriali, di menti e genialità, che potrebbero fare intravedere la luce.

La lectio di Lucio Villari è stata da lui stesso riassunta in una formula, «Il Risorgimento in Sicilia è stato il Risorgimento della Sicilia». Su questo assunto egli ha analizzato gli impulsi che sono venuti da tutte le classi siciliane a cominciare dalla straordinaria illusione della rivoluzione concessa dal re nel 1820, ai suoi fermenti lievitati nella vera e unica rivoluzione democratica europea del ’48, all’apporto dei duecentomila siciliani che trovarono accoglienza nel Regno di Savoia, nella strategia di freno di Cavour. Tanti gli spunti di riflessione e di approfondimento, anche per i nostri storici locali. L’apice della tensione e dell’attesa sia da parte dell’immenso pubblico che occupava anche la sala Amari e l’altra nel chiostro benedettino, sia da parte dei politici presenti è stato certamente il tema del messaggio conclusivo del Presidente Napolitano. Non è mancata l’insistenza sulla fase drammatica della nostra economia e sull’esigenza di un intervento finanziario forte, ma l’accento è stato volto soprattutto all’appello al riscatto dell’isola, alla intravista (da lui) inversione di rotta, in nuovi progetti di mutamento e di riforme. Da siciliani possiamo accogliere il suo messaggio con la prospettiva dell’augurio, anche se da quel radioso maggio 1946 poco di buono ha largito il tanto esaltato Statuto. Sappiamo cosa ne pensa uno dei padri, Alessi, ci chiediamo a cosa servirono le lotte dei fondatori, da Restivo a La Loggia, per strappare al governo nazionale quelle garanzie che non erano riusciti ad ottenere nei secoli gli aristocratici in nome di un ipotizzato ed unico Siciliae Regnum.

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